Perché i chatbot hanno sempre nomi femminili?
Opportunità e rischi dell'assegnare fattezze umane alle macchine
Se si vuole essere aiutati, nel fruire dei servizi del Comune di Siena, c’è – come è ovvio – un chatbot di nome Caterina pronto ad aiutarci. CSI Piemonte, l’hub di competenze tecnologiche regionali, ne ha uno che ha chiamato Camilla e gli esempi potrebbe continuare a lungo: per quale motivo si assegnano nomi femminili a macchine che, nella realtà, sono costituite da server, cavi, dati, energia?
L’Effetto Eliza
Lo aveva già spiegato con l’Effetto Eliza il docente del MIT Joseph Weizenbau negli anni ’60: dare fattezze umane permette di rendere più empatico il rapporto uomo – macchina, accrescerne la fiducia, ridurre la componente critica nei confronti dei risultati. Lo ha confermato la ricercatrice Kate Darling che, in un esperimento di psicologia sociale, ha prima fatto interagire delle persone con dei robot e poi con gli stessi robot, ma rivestiti di peluche dalla forma di dinosauri: nel primo caso i partecipanti non hanno poi mostrato alcuna difficoltà a prenderli a martellate, nel secondo nessuno ha voluto farlo.
Perchè preoccuparsene? Oggi si pensa che il 10% delle conversazioni con ChatGPT riguardino temi sessuali e crescenti sono i chatbot addestrati per rappresentare dei partner sentimentali: nuovi comportamenti digitali stanno dunque emergendo di cui occorre accrescere la consapevolezza per anticiparne possibili criticità in termini di dipendenza e tutela di informazioni confidenziali.