La costruzione del nuovo Duomo di Valenza
Uno dei simboli della città del gioiello
VALENZA – Ritorniamo a parlare dell’edificio religioso più imponente e importante di Valenza: il duomo dedicato a Santa Maria Maggiore. Sono scarse e poco attendibili le notizie sulla sua origine, l’unico documento di riferimento è una pergamena del 1096 ove si parla di una donazione di una cappella di pieve, dedicata a S. Maria con annesso cimitero, da parte e di proprietà del presbitero (prete, capo della singola comunità) Pietro figlio di Grosone o Grossone (presbiterus Petrus) al vescovo di Pavia il 2 giugno 1096.
Enrico II il Santo, incoronato imperatore a Roma il 14 febbraio 1014, si era spostato per un breve periodo nelle nostre parti, prima di fare ritorno in Germania, e un suo esteso diploma emesso nel maggio 1014 a Pavia conteneva già la cessione delle cappelle della pieve di Valenza alla Diocesi di Pavia, letteralmente “al successore di San Siro, vescovo di Pavia”.
All’epoca, l’attuale piazza XXXI Martiri faceva già parte del nucleo urbano e proprio quell’area fu scelta per edificarvi una chiesa, attorno al XII secolo, che avrebbe sostituito la semplice e poco adatta cappella di S. Maria. L’edificio doveva essere alquanto imponente, anche se non come l’attuale, ipotesi sorretta dal fatto che il cardinal Bertrando del Poggetto, in visita alla nostra città nel 1322, conferirà alla chiesa, il titolo di duomo. Lo scaltro cardinale ha elevato la chiesa che aveva ospitato il tribunale inquisitorio contro Matteo Visconti a Insigne Collegiata di Santa Maria, un privilegio non solo etereo che normalmente spettava alle chiese cattedrali, il duomo per noi. Così, nascerà a Valenza un certo dualismo tra il duomo e il prestigioso complesso conventuale di S.Francesco, fra clero secolare e clero regolare, tutti e due dediti a biascicare deboli sermoni di moralismo, non certo per fiducia o simpatia.
L’antico duomo aveva probabilmente un aspetto romanico con un portico davanti alla facciata, secondo un gusto diffuso nell’architettura ecclesiastica del tempo. Attraverso il portico, si entrava all’interno tramite una grande porta recante la scritta “extra portam magnam ecclesie S.te Marie Maioris Valentiae”; evidentemente, esistevano anche altre porte laterali più piccole, di solito due, certi documenti indicano proprio altre due aperture laterali, una collocata a sinistra e un’altra a destra.
Nel 1460, Valenza ha 800 famiglie e circa quattro mila abitanti, immersi nel dispotismo dei dominanti. Della collegiata fanno parte i canonici Facino de Haverio, Simone Annibaldi, Giovanni Bicossi, Antonio da Alassio, Barnabò Stanchi, Filippo Stanchi e Francesco Stanchi. All’interno del duomo si contano un altare maggiore e sei altari minori con rendita economica o beneficio ecclesiastico: San Massimo (20 fiorini), Sant’Antonio (20 fiorini), Santo Stefano (20 fiorini), Santa Maria (10 fiorini), San Giorgio (20 fiorini) e San Giacomo (25 fiorini).
L’antico duomo possedeva, nella posizione in cui si trova l’attuale, un campanile fatto erigere nel 1547, con una strategia economica spregiudicata, da tre consoli allenati al rosario, Nicolao Cagnoli, Federico Aribaldi e Gerolamo Bellone. Si pensa che il campanile sia stato innalzato e non edificato ex novo, infatti un documento del 1471 dice che il campanile, quindi già ne esisteva uno, era usato per tenervi dei guardiani a difesa della cittadina.
Riguardo l’interno, si possono fornire informazioni precise e dettagliate sullo stato della chiesa, sugli arredi e sulla collocazione degli altari grazie ad alcuni dati riportati in una visita documentata dell’autorità che contiene l’elenco degli altari, partendo dal primo altare dopo il maggiore, al lato cosiddetto del vangelo, e terminando col primo altare al lato cosiddetto dell’epistola, ovvero l’altare di S. Massimo, di S. Giuseppe, di S. Bartolomeo, di S. Bernardino, del SS. Sacramento, di S. Tommaso d’Aquino, della SS. Trinità, di S. Antonio da Padova, di S. Stefano, di S. Sebastiano e dell’Ascensione.
Cercare di identificare l’ubicazione di questi altari è un’impresa assai complessa, innanzitutto perché molti altari venivano demoliti per ordine dell’autorità superiore, fatto particolarmente diffuso dopo il Concilio di Trento, tenutosi dal 1545 al 1563, con il conseguente trasferimento del loro titolo ad altri altari. Inoltre esisteva la consuetudine di costruire ulteriori altari fuori dalle cappelle già occupate, addossandoli ai pilastri della chiesa; un’operazione di gran moda una volta, ma che contribuisce ad aumentare la confusione. Attraverso l’esame di varie carte cinquecentesche, si è riusciti ad avere un elenco, corredato da interessanti notizie, delle cappelle del vecchio duomo. Tra queste, ricordiamo: la cappella maggiore o del presbiterio, riparata verso la fine del XVI secolo da un certo maestro Melchioni o Melchiorri, che più tardi coopererà alla costruzione del nuovo duomo; la cappella dedicata a S. Agostino, ubicata a metà della parete destra entrando in chiesa; la cappella di S. Antonio da Padova, vicino a quella di S. Agostino; la cappella di S. Bartolomeo; la cappella dell’Annunciata, probabilmente ubicata a lato dell’altare maggiore; la cappella della B.V.
Il coro, cioè quella parte della chiesa collocata dietro all’altare maggiore, nella zona absidale in cui i cantori sedevano su dei sedili detti stalli, aveva una posizione sui generis; le informazioni ricavate dai vari documenti chiariscono che il coro, a differenza di quello attuale, non occupava l’area absidale dietro all’altare maggiore, ma lo spazio davanti all’altare maggiore, quindi la zona del presbiterio, per accedere alla quale si saliva per una scalinata che dava sulla navata centrale. In tal modo, si aveva uno sviluppo architettonico più limitato rispetto a quello attuale. Il presbiterio era elevato rispetto alla chiesa rimanente; in fondo ad esso si collocava l’altare maggiore e, subito dietro, un’abside semicircolare, sempre presente nelle chiese triabsidate, fiancheggiata da altre due di minori dimensioni.
Per quanto riguarda l’organo, attorno al 1540 fu nominato il canonico Pietro Ramella con l’incarico di prestare servizio in coro e di suonare l’organo; purtroppo, questa è la data più antica alla quale si fa riferimento per il primitivo o comunque più vecchio organo della chiesa. Trentacinque anni più tardi, nel 1575, i documenti parlano di un organo “nuperrime confectus”, quindi fabbricato da poco, e collocato probabilmente in fondo alla chiesa. Questo è l’elenco degli organisti del XVI secolo: maestro prete Ramella Pietro, 1540; maestro prete Guazzo Bernardino, 1578; maestro prete Battaglieri Alessandro, 1596-1601.
Verso la fine del XVI secolo, quando ormai il duomo, con un forte odore di stantio, versava cupamente in tristi condizioni, dopo alcune proposte choc cadute miseramente nel vuoto, con molto coraggio si decide di riedificarlo. La chiesa mostrava un aspetto deplorevole anche a causa delle numerose finestre che erano state aggiunte a quelle già esistenti; sembra che i patroni delle cappelle avessero l’abitudine liberticida di aprire delle aperture per illuminare l’interno senza alcun criterio architettonico.
A causa dei diversi eventi bellici che investirono Valenza, si finì per usare delle impannate di tela al posto delle vetrate troppo fragili e costose; la conseguenza fu una notevole oscurità, oltre a un totale disordine architettonico, come ricorda anche la descrizione di una visita pastorale.
Il 16 gennaio 1580 le autorità civili, una specie di piccola ecclesia privata manipolativa mestamente spagnola, inviarono una diffida al prevosto Vincenzo Bocca e al Capitolo (collegio dei canonici), lamentandosi del deplorevole stato dell’edificio: ogni volta che pioveva, la chiesa, in particolare il presbiterio, venivano invasi dall’acqua. Come spesso accade nelle diatribe di questo genere, il Capitolo e il prevosto risposero che la riparazione della malandata chiesa era di competenza del Comune. Nel frattempo a Valenza erano giunti parecchi artisti della zona biellese e del Canton Ticino, uno tra questi De Rossi della Vera, che, nel 1572, lavorava nell’abitazione di proprietà degli Aribaldi. L’anno successivo risultano residenti a Valenza Domenico e Filippo da Luino, zio e nipote, e non mancavano maestranze locali quali i Panizzari, una vera famiglia di artisti che godeva di notevole stima.
Verso il 1592, dopo circospette trattative, furono eseguite alcune riparazioni ad opera del maestro lombardo Melchioni. Le spese vennero sostenute, almeno in massima parte, dalla Compagnia del Santissimo, che provvide alla riparazione del presbiterio e della cappella del Corpus Domini. Tuttavia, le condizioni dell’edificio erano tali che prese corpo l’idea di un radicale e imprescindibile intervento di ricostruzione e il 24 febbraio 1606 il consiglio generale comunale deliberò di fabbricare un nuovo duomo.
Due anni dopo la decisione comunale, si stipulò la convenzione con un architetto di Sale, Breno Grandonio, per la costruzione della nuova struttura. Le cose, però, si trascinavano con una certa lentezza e la convenzione con il permaloso architetto salese, icastica nella forma ma priva di certi necessari contenuti, saltava per motivi a noi sconosciuti, forse “teologici”: il progetto del duomo, infatti, si dovrà a un altro artista.
Grande era la confusione. Intanto, le condizioni della vecchia chiesa erano sempre più precarie, cosa che alimentava ulteriormente il desiderio di sostituirla. Nel 1612, si lavora per riaggiustare alla meglio il tetto e, tre anni più tardi, l’autorità ecclesiastica proibisce le funzioni in duomo, facendole celebrare nella chiesa sussidiaria di San Giacomo.
Il provvedimento dell’autorità ecclesiastica non deve apparire troppo duro, probabilmente era finalizzato a spingere la città a provvedere al più presto al nuovo duomo con un investimento senza precedenti.
Per ottenere il denaro sufficiente ai lavori, il Comune aveva già imposto diverse tasse: un soldo per ogni brenta di vino venduto, un quattrino per ogni libbra di sale e un coppo di frumento per ogni sacco che si mandava al mulino; queste imposte sarebbero dovute scadere nel 1627, ma, occorrendo altri lavori per il duomo, verranno protratte ancora per otto anni.
Finalmente il 20 ottobre 1619, il risoluto e a lungo irritato prevosto Bartolomeo Bocca pone solennemente la prima pietra. L’architetto del nuovo edificio è Paolo Falcone, proveniente dalla zona del Canton Ticino. La fabbrica durerà poco più di due anni (un miracolo pensando all’oggi): il 9 dicembre 1622 il duomo fu aperto al culto, per lo meno la parte riguardante il transetto col presbiterio e il coro; anche se la benedizione era stata estesa a tutta la chiesa, solo le parti sopra citate erano aperte ai fedeli. Intorno al duomo si lavorerà ancora per diversi anni, mentre la consacrazione ufficiale avverrà paradossalmente solo molto più avanti.
Il nuovo duomo si presentava come un ampio e maestoso edificio: la facciata, tuttavia, non era quella primitiva e molto più avanti, nel 1890, subirà alcuni lavori di restauro per opera del Moriggi, mentre la scalinata, posta tutt’oggi dinanzi alla porta principale, sarà eseguita dal Comune nel 1754.
L’interno a tre navate con una suddivisione che riconduce all’architettura della facciata, dove lo spazio è tripartito dal motivo a lesena, è sempre stato fastosamente arricchito da numerosi altari. Quando il duomo fu aperto, si contavano dodici altari, escluso il maggiore, dopo la metà del secolo, erano saliti a quattordici, numero che si manterrà anche nel secolo successivo, nell’Ottocento si ridurranno nuovamente a dodici.
Probabilmente, all’apertura del nuovo duomo, l’oracolare altare maggiore non fu rinnovato ma si mantenne quello vecchio; infatti, si ha notizia di quattro pietre sacre fatte venire nel 1622 per gli altari del transetto, mentre non si fa cenno alcuno a un nuovo altare; inoltre, nel 1646 il presbiterio era privo di balaustra. Il 5 aprile dello stesso anno la Compagnia del Santissimo deliberava di “farfare la balaustra di marmo dell’altare maggiore con sopra l’arma del comune procurando detto sig. Priore di far confermare questa provisione dal Consiglio comunale”. Dal testo si ricaverebbe anche che il Comune stesso avrebbe dovuto sostenere le spese, visto il progetto di far apparire le armi comunali sulla balaustra e l’incarico al priore di far approvare quanto convenuto. In quel periodo, il Comune versava in pessime condizioni finanziarie, ragion per cui, nascondendosi nell’ambiguità, ignorò la cosa; la Compagnia, di conseguenza, fu costretta a far conto solo sulle proprie forze, facendo una spericolata manovra. Ma è poco utile anche il disordine che nel periodo domina la chiesa locale che, animata da spirito censorio, spesso si perde nel rovinoso contesto economico dimenticando la fede.
La balaustra sarà eseguita, ma in legno, e solo nel 1727 (parroco Zucchelli) si deciderà di sostituirla con un’altra “di maggior splendore possibile”. Naturalmente, la costruzione di una balaustra preziosa in marmo nero e rosso stonava col vecchio altare maggiore. Nacque subito una fervida protesta da più parti per l’evidente stridore fra il vecchio e il nuovo. La Compagnia, quindi, indisse un concorso e, tra i vari progetti presentati, si scelse quello dell’artista Giacomo Pellagatta.
Quando il nuovo duomo fu benedetto, era sprovvisto di sedili fissi, ragion per cui se ne adoperavano di mobili. Già dal luglio del 1622 (parroco Bocca) si erano presi provvedimenti per la costruzione dei nuovi stalli tanto agognati, ma sembra che i lavori abbiano avuto inizio solo attorno al 1624. Probabilmente, si trattava di pezzi con un certo valore artistico, ipotesi sostenuta dal fatto che ì lavori procedevano con una certa lentezza; infatti, nel 1634, il prevosto delegato Marco Antonio Cattaneo, con piglio decisamente inconsueto, lamentava la mancanza di sedili e, fatto importante, l’inadempimento del legato della fu Apollonia Tarone (disposizione mortis causa) da parte dei suoi eredi, legato che aveva lasciato per la costruzione del coro. Riguardo al battistero del nuovo duomo, per parecchi anni rimase quello che era nell’antico edificio religioso, collocato tra l’ultima cappella del lato sinistro e la porta del duomo. Verso il 1634 si pensò di sostituirlo con un altro di più degna fattura, ma il progetto, come al solito, si protrasse confusamente per diversi anni e bisognerà aspettare il 1652 per vederlo eseguito. Costruito in legno intagliato, durerà sino all’inizio dell’Ottocento.
Eventi e fatti accaduti per proposito, caso, destino o per volontà divina?
I prevosti-parroci del duomo che si conoscono sono stati i seguenti: Stanchi Bartolomeo, 1378-1396; Leccatore Francesco, 1428; Schiffi Francesco, 1438-1464; Biscossa Filippo, 1464-1494; Schiffi Sigismondo, 1500; Benegazzi Raffaele, 1526; Biraghi Pietro Antonio, 1527-1531; Rossignoli Giovanni Antonio, 1534-1547; Piazza Guglielmo, 1550-1561; Perego Paolo, 1561-1565; Bocca Vincenzo, 1566-1605; Bocca Bartolomeo, 1605-1630.