Masi, acquese in fuga per salutare i parenti: “Tappa? Tanta roba”
"La partenza del Giro dalla “mia” Acqui mi emoziona. Come se la tappa dovessi correrla anche io. Per la città e il territorio, è l'evento più importante a livello sportivo"
ACQUI TERME – Francesco Masi è l’ultimo professionista acquese ad aver partecipato alla ‘corsa rosa’, «tre volte e una quarta mi è stata negata proprio pochi minuti prima che mi presentassi a ritirare il pettorale».
Classe 1957, nato in Basilicata, ma cresciuto tra colline e terme, ‘per chi ama la bicicletta le nostre strade sono perfette per avvicinarsi a questo sport che resta, per me, quello della gente, più di tutti. Popolare nel significato più bello di questa espressione, perché si può godere lo spettacolo a bordo strada, senza pagare biglietti, a pochi centimetri dai protagonisti. Si possono cogliere gli sforzi, le fatiche, i sogni anche solo vedendoli passare per una manciata di secondi’.
Il tifo di Alessandria
Tre partecipazioni alla grande corsa a tappe che attraversa e unisce tutta l’Italia. «La prima nel 1979, appena passato professionista, non avevo ancora 22 anni. Correvo per la San Giacomo – Mobilificio Alan, il 29 maggio, 12a tappa, si partiva dal capoluogo, Alessandria – Saint Vincent. Da Acqui racconta Masi – sono arrivati parenti e amici per salutarmi e sostenermi, ma ricordo ancora con piacere il tifo di tutti gli alessandrini, perché mi consideravano un portacolori della provincia, per di più giovane e alla prima esperienza, da sostenere tra i giganti di allora. Quel Giro lo vinse, dominandolo, Beppe Saronni, che ho riabbracciato con piacere due settimane fa all’ex Kaimano, protagonista di uno degli incontri organizzati dal Comune. Davvero una operazione riuscita di cultura ciclistica».
Lo sgarbo del 1980
L’anno dopo Francesco Masi era pronto a rivivere l’esperienza e, invece, il team decise di lasciarlo a casa. «Uno dei momenti amari di una carriera in cui mi sono preso, comunque, le mie soddisfazioni. La partenza era a Genova, mi sono presentato per le operazioni preliminari, convinto che l’esperienza dell’edizione precedente, da esordiente, mi avrebbe aiutato. Invece il direttore sportivo mi comunicò che mi avevano preferito Antonini. ‘Sei giovane, avrai altre occasioni per correre il Giro’ mi disse: avevano scelto uno più esperto, che una realtà raccolse quasi nulla. Per me l’amarezza fu tanta, ma decisi che quella delusione mi avrebbe dato ancora più energia».
Il permesso dei capi
Il ricordo ‘in rosa’ più bello di Masi è legato proprio ad Acqui. Giro 1983, ‘l’ultimo a cui ho partecipato’, con i colori della Mareno – Wilier Triestina. «Andai in fuga, nella Savona – Orta San Giulio. Sapete perché? Perché si passava davanti a casa mia e ci tenevo ad avere un piccolo vantaggio per abbracciare i miei. Ma all’epoca certe iniziative dovevano avere il parere favorevole dei ‘big’. Lo chiesi a Saronni, che mi autorizzò, ma serviva anche il parere favorevole di Moser. Per ottenerlo chiesi un aiuto a Claudio Bortolotto, che era stato compagno di squadra mio e di Francesco. Via libera anche da lui, la mia azione fu etichettata come ‘fuga per visita parenti’: mi impegnai molto i 5 minuti conquistati mi permisero di abbracciare tutti. Da Saronni, però, avevo avuto un ordine: dopo quella concessione dovevo rientrare subito in gruppo. Così feci».
“Dico Pogačar”
Anche se confessa di amare di più il suo ciclismo, ‘fatto di istinto e sentimenti’, rispetto a quello moderno, ‘troppo tecnologico’, Francesco Masi non si perde mai un appuntamento, quando può dal vivo, altrimenti in tv. E, da grande esperto, si sbilancia in un pronostico per il Giro 2024.
«Mi sembra anche scontato: dico Pogacar, perché è il più forte, anche se, in tre settimane, qualche sorpresa ci può stare. Lui, però, è davvero il migliore, non ha bisogno di chiedere permessi per scattare».
Un risultato, però, per lui è già sicuro, «la vittoria di Acqui, che ha lavorato benissimo per questa tappa e raccoglierà i frutti anche in futuro».