“Il rilancio del Brachetto riparte dalle piccole e medie aziende”
Tre produttori dell’Acquese suggeriscono nuovi modelli di mercato per rinvigorire le sorti di un’eccellenza del territorio che oggi è in crisi
ACQUI TERME – Il rilancio dal Brachetto può (e deve) ripartire dalle aziende agricole del territorio, anche dai piccoli e medi produttori. È questo, in sostanza, il ‘leit motiv’ che ritorna sovente parlando con gli imprenditori agricoli dell’Acquese.
Il presidente del Consorzio di Tutela, Paolo Ricagno, alla presentazione degli Acqui Wine Days – andati in scena lo scorso fine settimana – lo ha detto con franchezza: “Sul Brachetto incombe un problema serio. È un prodotto in grave crisi a livello commerciale. Non si vende perché poco conosciuto, nei ristoranti e nei bar del territorio non viene proposto”.
“Sta bene con i “piccoli””
A sentire chi il Brachetto lo vende direttamente in cantina, tuttavia, si tratterebbe di un tracollo annunciato. “Parliamo di un prodotto cresciuto nelle mani dei “grandi” ma che in realtà sta bene a casa dei “piccoli””, dice Andrea Botto, titolare dell’azienda ‘Convento Cappuccini’ di Ricaldone, dove circa cinque ettari sono a Brachetto. “A livello consortile – spiega Botto – si è cercato di cavalcare la grande industria, lasciando poco margine ai piccoli e medi produttori, eppure oggi a livello industriale il prodotto è quasi sparito”.
Guardando dall’altra parte della barricata, tuttavia, si possono cogliere segnali incoraggianti: “Nell’Acquese stanno nascendo varie aziende “giovani” che puntano sul rilancio del Brachetto, realtà da sostenere e incoraggiare”.
Ricagno ha lamentato la scarsa valorizzazione da parte del settore Horeca, in particolare sul territorio: “Onestamente – commenta Andrea Costa, responsabile commerciale di Marenco Vini – sono dalla parte del ristoratore. Credo che non ci si debba chiedere cosa possano fare i ristoratori per i produttori, ma cosa dobbiamo fare noi produttori per il cliente, ovvero offrirgli un prodotto di alta qualità. Nell’Acquese si vende poco Brachetto? È vero, ma nel nostro caso abbiamo parecchi clienti tra i ristoratori delle grandi città italiane, tra cui vari chef rinomati. Se si fa del buon Brachetto valorizzandolo nella giusta maniera, si vende senza problemi. Dobbiamo auspicare che più produttori si mettano a coltivare Brachetto, ispirando le nuove generazioni con gli strumenti adatti, anche culturali”.
“Ci vuole più appetibilità”
A Spigno i (giovani) fratelli Rovera, Sebastiano ed Edoardo, sono i titolari dell’azienda Traversa 1816, e il Brachetto è senza dubbio uno dei fiori all’occhiello della loro produzione: “Ho 30 anni – osserva Sebastiano Rovera – quindi quello che so sui “fasti” del Brachetto mi è stato raccontato, ma evidentemente il progetto prefissato 20-30 anni fa non ha dato i frutti sperati. Credo sia stato un errore lasciare l’80% del mercato in mano alle grandi aziende”.
Secondo Rovera molto utile potrebbe essere un cambio di paradigma sul piano commerciale: “Bisognerebbe provare a rilanciare il prodotto immaginandolo sotto altre “vesti”, più appetibili per i nuovi consumatori. Come bevanda dissetante, ad esempio. Penso che i giovani imprenditori agricoli, anche dal punto di vista consortile, dovrebbero avere più voce in capitolo. In questo senso sarebbe utile, nel tempo, un ricambio generazionale”.