Storia d’amore e d’amicizia: “Le otto montagne”
«Da mio padre aveva imparato, molto tempo dopo aver smesso di seguirlo sui sentieri, che in certe vite esistono montagne a cui non è possibile tornare. Che nelle vite come la mia e la sua non si può tornare alla montagna che sta al centro di tutte le altre, e all’inizio della propria storia. E che non resta che vagare per le otto montagne per chi, come noi, sulla prima e più alta ha perso un amico». (Paolo Cognetti, “Le otto montagne”)
È una storia d’amore e d’amicizia struggente quella che unisce per decenni, dall’infanzia alla maturità, Pietro (Luca Marinelli) e Bruno (Alessandro Borghi), l’uno figlio di Giovanni (Filippo Timi), industriale torinese saturo dell’aria asfittica e delle nevrosi della metropoli, l’altro ragazzo valdostano il cui padre piega sin dalla più tenera età gli eventuali desideri di fuga, portandolo con sé a imparare il mestiere del costruttore.
E proprio il costruire, l’edificare, l’innalzare mura che fungano da riparo e rifugio alle asperità della montagna e dell’esistenza è uno dei temi portanti del film dei cineasti belgi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch (rispettivamente regista e sceneggiatrice di “Alabama Monroe – Una storia d’amore”, 2012), che traspongono l’omonimo romanzo Premio Strega 2017 di Paolo Cognetti, vincendo ex-aequo con “EO” di Jerzy Skolimowski il Premio della Giuria.
«Il libro è venuto verso di me in modi assolutamente diversi, che mi hanno spinto a pensare che non potevo sottrarmi all’idea di fare questo film. Ne avevo sentito parlare, l’avevo acquistato, poi lo avevo messo da parte», spiega Van Groeningen. «Ho letto il libro e me ne sono assolutamente innamorato, mi sono immerso in questa storia, è entrata in sintonia con me per vari motivi, mi ha toccato profondamente. Il desiderio di trascorrere due anni su quei luoghi a contatto con dei personaggi così belli e puri, che si confrontano con tematiche essenziali nella vita di ciascuno di noi è stato irriducibile». «Ho capito che sarebbe stata una scrittura a quattro mani estremamente stimolante per tutti e due», ha aggiunto Charlotte Vandermeersch.
Nel formato di proiezione ridotto (4.3) da loro scelto, che evoca uno stile documentaristico (come non pensare, a questo proposito, alle prime opere del bergamasco Ermanno Olmi), alla montagna bellissima e terribile che è elemento fondante del film viene volutamente evitato l’effetto cartolina, per farla assurgere ad autentica dimensione del racconto.
La montagna valdostana è testimone degli incontri annuali, nel corso dell’estate, di Bruno e Pietro, della loro crescita, delle fughe repentine, dei ritorni (soprattutto di quest’ultimo), delle rabbie (quella coltivata da Pietro verso la figura paterna), degli amori (quello di Bruno per Lara, amica comune con la quale sperimenta l’esperienza della paternità).
La riflessione – sia del romanzo che del film – sull’esistenza, sul significato da attribuirle, sulla possibilità di mantenere accanto e saldi amori e affetti, è malinconica e agrodolce: «Avrei voluto aiutarlo», confessa Pietro a Lara, riferendosi all’amico Bruno. «Non puoi aiutare chi non vuole essere aiutato», risponde Lara.
Il titolo del libro e del film trae origine da un’antica leggenda nepalese che viene raccontata a Pietro da un anziano del luogo durante un suo viaggio sull’Himalaya: al centro del mondo si trova una montagna altissima, il monte Sumeru. Intorno si innalzano gli otto mari e le otto montagne. «E diciamo: avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne, o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?».
Questa è la domanda che percorre le due opere e con la quale entrambe si accomiatano da noi lettori e spettatori: una domanda che è tutta raccolta nelle vite opposte eppure complementari di Pietro e Bruno, l’uno impegnato a interrogare il reale in un girovagare per il mondo che lo condurrà sino alle propaggini più estreme del Nepal; l’altro totalmente dedito a un dialogo personale e assoluto con la montagna che lo ha visto nascere.
La pellicola, più che sulla bellezza dei panorami naturali, spesso ripresi in campo lungo e dall’alto, si concentra sul pacificatore e insieme sofferto rapporto d’amicizia tra i due protagonisti (nel ruolo di Bruno la recitazione di Borghi sopravanza lievemente quella pur intensa di Borghi: i due attori avevano già lavorato insieme nel 2015 nel film di Claudio Caligari “Non essere cattivo”), intessuto di silenzi e rarefatti dialoghi, mentre il tempo – sia quello interno alla storia che quello filmico – si diluisce e si sfalda, alla ricerca della bellezza dell’assoluto.
«Il confine tra la parola amicizia e la parola amore è molto labile, spesso l’ho confuso. Sono innamorato delle persone a cui voglio molto bene», racconta Borghi in un’intervista per “Movieplayer.it”. Con Marinelli da sette anni «viviamo lontani, ma è come se fosse il mio vicino di casa, perché l’amicizia richiede una presenza, dell’affetto. […] Se penso a Luca, ai momenti che abbiamo passato insieme…quello per me è il significato vero dell’amicizia: due persone che non devono spiegarsi niente, che pur se diverse riescono ad ironizzare e a ridere dell’altro senza mai giudicarsi. “Le otto montagne” è un film sull’amicizia, su come riuscire a sopravvivere alla vita che ti viene addosso e sulla capacità di rimanere vicini. Questo è il film di Pietro e Bruno, nella vita c’è quello di Luca e Alessandro».
“Le otto montagne”
Origine: Italia-Francia-Belgio, 2022, 147’
Regia: Felix van Groeningen, Charlotte Vandermeersch
Sceneggiatura: Charlotte Vandermeersch, Felix van Groeningen (dal romanzo omonimo di Paolo Cognetti)
Fotografia: Ruben Impens
Montaggio: Nico Leunen
Cast: Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Filippo Timi, Elena Lietti, Elisabetta Mazzullo
Produzione: Wildside, Pyramide Productions, Rufu/Menuetto
Distribuzione: Vision Distribution