“Il corsetto dell’imperatrice”: il senso di Sissi per il dolore
«Nessuno ama nessuno. Ognuno ama ciò che desidera dagli altri. E noi amiamo chiunque ci ami per quello che vorremmo essere».
La voce fuori campo è quella della stessa Elisabetta, duchessa di Baviera e imperatrice d’Austria, interpretata dall’attrice lussemburghese Vichy Krieps, decisamente in ascesa dopo un esordio cinematografica fulminante in quel 2017 de “Il filo nascosto” di Paul Thomas Anderson (qui anche produttrice esecutiva e vincitrice del premio per la miglior interpretazione nella sezione ‘Un certain regard’ di Cannes).
Sissi – che nella pellicola della regista austriaca Marie Kreutzer è radicalmente antitetica rispetto al personaggio edulcorato protagonista della trilogia di Heimatfilm interpretati da Romy Schneider tra la metà e la fine degli anni 50’ – è una donna ormai matura in quel dicembre 1877 in cui approda alla fatidica soglia dei quarant’anni, un’età giudicata – come le ricorda il suo medico personale – il limite massimo dell’aspettativa di vita per una donna del popolo.
La riflessione sull’esistenza e sull’amore che Elisabetta compie in voce fuori campo ne delinea con grande intensità l’intima frustrazione, l’amarezza che a tratti marca il suo viso, lo sguardo sempre più assorto in una lontananza remota, in un desiderio d’evasione e libertà che la società circostante, lo stesso marito Francesco Giuseppe e il figlio Rodolfo scambiano per eccentricità e insana nevrosi.
Le stesse che tengono segregate – secondo i dettami della scienza psichiatrica dell’epoca – costrette a purificanti bagni in vasche colme d’acqua calda o fredda, a seconda dei casi, donne che si sono macchiate del reato di adulterio o, ancora peggio, del lutto insanabile per la morte di un figlio. Le medesime donne pazienti degli ospedali psichiatrici che l’imperatrice d’Austria visita regolarmente, morbosamente attratta dal rovescio della medaglia della sua vita in apparenza perfetta e brillante.
Esempio emblematico di aristocratica appartenente a una generazione nuova, a una contemporaneità incipiente che induce a raffrontarla con future principesse tristi e in fuga da un troppo rigido cerimoniale, Elisabetta viene fotografata nel momento in cui dà una svolta alla sua esistenza (dal giorno del suo compleanno sino al settembre 1878), iniziando a girovagare tra l’Austria, l’Ungheria e l’Inghilterra, a volte ospite del cugino Ludwig di Baviera o della sorella Maria Sofia, dedita alle lunghe cavalcate, ad azzardi sportivi che mettono a repentaglio la sua salute ma assomigliano sempre più a un gioco a scacchi con la morte, al fumo, all’eroina che le viene prescritta incautamente, all’esercizio della scherma e della ginnastica, a diete ossessive e alla messinscena di finti svenimenti.
Mentre la sua bellezza sfiorisce e l’immagine reale dell’imperatrice comincia ad andare in cortocircuito rispetto a quella ritratta (è più magra dell’effigie che compare nei dipinti; il suo viso è meno fresco, le viene rimproverato) e persino a quella che compare in una delle prime riprese cinematografiche dell’inventore Louis Le Prince, Elisabetta percorre la ruota del tempo superando la linea di demarcazione che la separa dai propri desideri.
Sulle note sperimentali, battenti o nostalgiche della colonna sonora di Camille, guarda dritto in macchina mentre, seguita dalle dame di compagnia, affronta lo scalone di uno dei tanti palazzi che abita fuggevolmente, mentre attraversa un’Europa in fermento. Poi, tenta inconcludenti approcci con il marito imperatore, con il cugino Ludwig, si dà all’autoerotismo, e prima di dissolversi – come dice lei («Una persona a quarant’anni si dissolve, si scolora») – si concede per l’ultima volta ai piaceri della carne, di un appetito sino ad allora trascurato e represso.
Vive, insomma, Elisabetta, già duchessa di Baviera e imperatrice di Austria-Ungheria, per la prima volta nella sua vita, da donna e non come un semplice e banale simulacro. Alla fine si taglia gli splendidi e lunghissimi capelli e maschera il suo viso, fino a farsi sostituire in pubblico da una cortigiana resa per l’occasione simile a lei.
L’ultimo atto del suo dramma, immaginato per lei dalla regista Kreutzer e così dissimile da quello reale, dalla morte avvenuta per mano di un anarchico il 10 settembre 1898, sulle rive del lago di Ginevra, è doloroso e liberatorio insieme: Elisabetta finalmente si lascia andare, si fa abbracciare dall’acqua, quella dimensione amniotica che è origine e fonte di vita. La vita e la morte così incredibilmente vicine, nell’esistenza di Elisabetta e di altre donne future, non solo di alto lignaggio, come lei asservite a un Potere cieco.
«Pensavo che potesse essere una bella storia sulle donne di quell’epoca, ma ancora oggi, cresciute, “addestrate” a compiacere per essere amate», racconta la regista in un’intervista per Sky TG24. «Mentre il ruolo di Elisabetta è stato ridotto contro i suoi desideri a puramente performativo, la sua fame di conoscenza e gioia di vivere la rende sempre più irrequieta a Vienna. Si reca in Inghilterra e in Baviera, visitando ex amanti e vecchi amici, cercando l’eccitazione della sua giovinezza. Con un futuro di doveri strettamente cerimoniali, Elisabetta si ribella all’immagine iperbolica di sé stessa e propone un piano per proteggere la sua eredità».
La protagonista Vicky Krieps, intervistata da “ScreenDaily”, ha, invece, sottolineato: «Il mio approccio iniziale è sempre stato quello di pensare alla “donna dietro alla donna”. Dietro a una donna, ce ne è sempre un’altra, come se ci fosse una società segreta dietro di noi. E ho pensato che prendere come riferimento mia nonna fosse la strada giusta. Volevo sapere cosa significasse davvero indossare un corsetto, ed è stato molto, molto doloroso. E volevo davvero imparare il linguaggio del corpo degli aristocratici. Ho voluto imparare come cavalcare e come fare scherma».
“Il corsetto dell’imperatrice” (Corsage)
Origine: Austria, Lussemburgo, Germania, Francia, 2022, 113’
Regia: Marie Kreutzer
Sceneggiatura: Marie Kreutzer
Scenografia: Martin Reiter
Fotografia: Judith Kaufmann
Montaggio: Ulrike Kofler
Interpreti: Vicky Krieps, Florian Teichtmeister, Katharina Lorenz, Jeanne Werner, Alma Hasun, Manuel Rubey, Finnegan Oldfield, Aaron Friesz, Rosa Hajjaj, Lilly Marie Tschörtner, Colin Morgan
Colonna sonora: Camille
Produzione: Film AG
Distribuzione: BIM