Il mondo si muove, ma in che direzione?
«La guerra non scoppia mai in modo del tutto improvviso, la sua propagazione non è l’opera di un istante» (von Clausewitz – Della Guerra).
Questa citazione del famoso teorico militare prussiano è utile per delineare il momento storico che stiamo vivendo. Come la guerra in Ucraina (o “Operazione militare speciale” secondo il racconto dei russi) non è scoppiata per il desiderio estemporaneo di un singolo attore, così il sistema energetico europeo palesa ora criticità originatesi negli ultimi decenni, che le varie nazioni stanno affrontando con varie strategie. Ogni scelta attuale è figlia delle scelte o non-scelte fatte nei decenni passati, che non hanno avuto effetti istantanei ma ricadute sul lungo periodo: il famoso “effetto farfalla” (se una farfalla che sbattesse le ali nell’Amazzonia provocherà un uragano in Florida). Queste criticità sono causate anche da un sistema energetico che si sta trasformando: da uno basato sui fossili ad uno che vuole farne a meno, e così come i problemi non derivano da eventi singoli e recenti, così le soluzioni reali non hanno orizzonti temporali vicini.
Fra le misure che sono in programma nel breve, medio e lungo periodo, quella di una nuova spinta allo sfruttamento dell’energia nucleare è al centro del dibattito. In Europa i programmi nucleari languivano, per la somma di prezzi bassi delle fonti fossili e programmi conclusi nel corso degli anni ’80 e ’90, ma ultimamente c’è stata una ripresa, legata anche alla crisi del gas. I nuovi programmi non vedranno la luce nel breve periodo, ma sono studiati per il futuro, esattamente come la precedente spinta fu dovuta alle crisi petrolifere degli anni ‘70.
Per iniziare, la Federacciai italiana prevede di stipulare un accordo per l’acquisto di un terzo dell’energia prodotta dal raddoppio della centrale di Krško, in Slovenia, per così avere energia abbondante a basso prezzo e basso impatto ambientale.
Centrale nucleare di Krško
In Francia, tra i paesi più nuclearizzati al mondo, si prevede la costruzione di 14 nuovi reattori nei prossimi decenni, per rimpiazzare quelli che raggiungeranno fine vita e aumentare la produzione elettrica, in vista della massiccia elettrificazione della società. Anche l’Ucraina ha piani similari ma, verosimilmente, essi saranno decisi in via definitiva solo a fine ostilità con la Russia.
Nel Regno Unito i piani delineati dal governo di Boris Johnson prevedono la costruzione di un nuovo reattore all’anno (fra reattori di grande potenza e piccoli reattori modulari o SMR) per arrivare a generare circa 190 TWh (o il 25% della domanda elettrica) nel 2050.
Molto ambiziosi, vista la grandezza della nazione, sono i piani polacchi, che prevedono sei reattori di grande potenza e numerosi SMR di proprietà delle aziende energivore. Senza dimenticare i programmi olandesi, finlandesi (questi momentaneamente sospesi, dato che il fornitore era la russa Rosatom), cechi, slovacchi, ungheresi, estoni, rumeni e bulgari. In Svizzera, al contrario, è in corso l’abbandono dell’atomo, ma le imprese chiedono un cambiamento di rotta delle politiche nucleari nazionali.
In Asia, oltre la Cina che la fa da padrona, Corea del Sud e Giappone stanno prendendo nuovo slancio. La Corea programma il riavvio della costruzione interrotta di alcuni reattori, mentre il Giappone considera di accelerare il riavvio dei reattori fermati nel post-Fukushima, e ha messo in conto nuovi impianti. L’India, visti anche i nuovi reattori bengalesi e pakistani, sta dando un nuovo impulso all’industria nucleare, programmando la costruzione di 10 reattori nei prossimi 3 anni.
Nell’America del Nord i programmi nucleari sono condizionati dalla presenza di gas a prezzi bassi, ma i progetti di SMR e prototipi di IV gen (come il Natrium di TerraPower) sono alle fasi finali di studio o le preliminari di costruzione.
In Africa sono presenti solo due reattori in funzione, in Sudafrica, ma ne è iniziata da poco la costruzione a El Daaba in Egitto, mentre altre nazioni (fra cui Ghana, Etiopia e Kenya) stanno programmando nuovi reattori. Infine abbiamo l’Oceania: le uniche due nazioni con infrastrutture e domanda sufficienti sono la Nuova Zelanda e l’Australia. La prima si giova dell’idroelettrico, la seconda (benché grande produttore di uranio) del carbone, ma sono in corso dibattiti sull’uso futuro del nucleare.
Il conflitto e la crisi energetica hanno risvegliato dal torpore molte nazioni, facendo capire (in prospettiva) che la crisi climatica morderà duro. Servono quindi misure strutturali di lungo respiro da decidere e programmare con largo anticipo, perché la prossima crisi energetica non ci trovi impreparati e per scongiurare la crisi climatica.