Petrini: “Vi racconto i miei 15 anni in provincia. Porto Acqui nel cuore”
Intervista all'indimenticato bomber degli anni 90, protagonista anche con Derthona e Novese
Oggi è tornato a vivere nella sua Liguria, ma il legame con il ‘nostro’ calcio resta sempre molto forte. Chi non è più giovanissimo (anche se storie e racconti sono arrivati fino ai giorni nostri) non può certo dimenticare Carlo Petrini jr, attaccante classe 1969 protagonista di tante stagioni con le squadre più importanti della provincia. Figlio d’arte (il padre ha giocato in serie A negli anni 70 con le maglie di Roma e Milan), Petrini ha fatto vedere le cose migliori ad Acqui, ma ha vissuto tappe importanti anche a Tortona, Novi, Ovada e Serravalle, con il Libarna. Bomber dentro e fuori dal campo, con la fama di consumato latin lover, Carlo nel suo piccolo è stato il simbolo di un’epoca dorata che probabilmente non tornerà più: lo abbiamo intervistato e sono emersi tanti spunti interessanti.
Oramai è passato tanto tempo, ma qual è il ricordo di quegli anni?
Sicuramente, da un punto di vista calcistico e non solo, è stato il periodo più bello della mia vita: sono arrivato ad Acqui nel lontano 1991 e lì mi sono fermato a vivere per 15 anni. Nonostante i cambi di maglia che si sono susseguiti stagione dopo stagione, ho sempre mantenuto la mia base proprio nella cittadina termale. Ho avuto enormi soddisfazioni in campo e ho conosciuto persone che mi hanno voluto molto bene.
Da dove cominciamo?
Dal primo campionato, appunto nel 1991, con la maglia bianca in serie D. Sono cresciuto nei settori giovanili di Genoa e Sampdoria, ma quella è stata la mia prima esperienza vera. Che ricordo ancora con un piacere immenso.
Quali sono state le tappe successive?
Derthona per un anno e mezzo e poi tre campionati a Novi. In seguito altre due stagioni ad Acqui, Alba, ancora Acqui, Libarna, Ovada, Fossano, Chiavari, Bra e per concludere di nuovo Acqui. Sempre tra Eccellenza e serie D.
Le stagioni più belle?
Il primo anno di Acqui resta indimenticabile, chiudemmo al quarto posto, ma con la sensazione che avremmo potuto fare ancora meglio. Eravamo un gruppo giovane, ma di grande qualità. E poi sempre all’Ottolenghi, qualche anno più tardi, con Mario Benzi allenatore: perdemmo l’ultimo spareggio per andare in Interregionale, poi però fummo ripescati.
Se dico Derthona e Novese?
A Tortona si respirava l’aria del grande calcio, la squadra fino a pochi anni prima era stata protagonista in C. Purtroppo le cose andarono male, partimmo per vincere il campionato e invece retrocedemmo. Novi, invece, coincise con un periodo della mia vita molto particolare, segnato da problemi personali e dal dolore enorme per la morte di mio fratello. Ma ho un ricordo meraviglioso di società e compagni.
Ha mai avuto la possibilità di fare il grande salto tra i professionisti?
All’età di 18 anni dovevo andare in ritiro con il Livorno, in C1. A quei tempi, però, mi mancava la ‘fame’, la voglia di fare sacrifici, di ‘arrivare’ ad ogni costo. Sicuramente è stato il mio limite più grande, che in quel preciso momento ha segnato il punto di svolta in negativo. Avere un cognome ingombrante e un padre che ha giocato a lungo in serie A mi ha sempre condizionato.
Il bilancio della carriera, nonostante tutto, rimane buono. Vero?
Assolutamente sì, sono orgoglioso di quello che ho fatto. Mi sono tolto grandi soddisfazioni e ho costruito legami solidi, che durano ancora adesso. Appesi gli scarpini, ho avuto la fortuna di lavorare nel calcio professionistico, ma posso dire che i rapporti più belli e più sinceri sono legati proprio al ‘mio’ mondo dei dilettanti.
Segue ancora le vicende del calcio provinciale?
La mia ultima esperienza è stata al Chievo, poi sono tornato a vivere a Genova. Ma, anche se da lontano, mi informo costantemente. A cominciare dall’Alessandria, per poi scendere con le varie categorie.
E qual è il primo risultato che chiede alla domenica, terminate le partite?
Semplice, quello dell’Acqui. Perché Arturo Merlo, che oggi allena i bianchi, è di fatto un fratello: con lui ho giocato al Derthona e poi sono stato anche suo attaccante quando lui ha iniziato ad allenare. Senza nulla togliere alle altre squadre, Acqui per me ha un significato speciale. La porto nel cuore.
Ultima domanda: meglio il calcio di oggi o quello di una volta?
Non c’è paragone, molto meglio quello dei miei tempi. Era tutto più bello, sotto ogni punto di vista, giravano tanti soldi, ma a parte quello c’era più passione, più genuinità. Ora sono cambiate molte cose, in peggio.