Natale al cinema: “7 donne e un mistero”
“Le donne non devono farsi la guerra, soprattutto se è un uomo a chiederlo”.
(Margherita Buy, “7 donne e un mistero”)
Il 25 dicembre 2021, il giorno di Natale, è anche quello dell’uscita nelle sale italiane dell’atteso film di Alessandro Genovesi (autore nel 2007 della commedia di successo “Happy Family, poi trasposta sul grande schermo da Gabriele Salvatores) “7 donne e un mistero”: un’opera in grado di suscitare una certa curiosità ancor prima di approdare sul grande schermo, perché liberamente ispirata al celeberrimo “8 donne e un mistero” del regista francese Francois Ozon (2002, a sua volta tratto dalla pièce teatrale “Huit femmes” di Robert Thomas).
Il cast della commedia di Genovesi, rigorosamente al femminile, è ricco e variegato così come quello della pellicola originale: Margherita Buy, Diana Del Bufalo, Sabrina Impacciatore, Benedetta Porcaroli, Micaela Ramazzotti, Luisa Ranieri e – last but not least – una sorprendenteOrnella Vanoni,87enne al suo debutto cinematografico in un ruolo cardine da protagonista assoluta entro un cast di primedonne.
Il plot è risaputo: un ricco imprenditore viene misteriosamente assassinato nella sua lussuosa magione, in cui si trovano, non a caso, tutte le donne della sua vita: la moglie, l’amante, le figlie, la sorella, la nonna e perfino la domestica. Il sospetto dell’omicidio ricade, ovviamente, su ciascuna di loro e a venire messo in scena sarà un grottesco e nerissimo gioco delle parti in perfetto stile Agatha Christie, sino all’imprevedibile soluzione finale (per un rompicapo che si ispira al classico ‘enigma della camera chiusa’, espressione della letteratura gialla novecentesca).
In conferenza stampa, qualche giorno fa, il regista Genovesi ha spiegato: «Non doveva essere un musical perché quella era un’idea di Ozon. Una bella idea, ma era la sua. Ne è uscito un giallo da camera, ambientato in una notte di Natale degli anni 30’ del secolo scorso, che è una delizia per gli occhi e per le orecchie, in cui le sette pazze recitano divinamente. E in più fanno ridere. […] Bisognava portarle in un mondo che non esiste: è stato un viaggio per tutti noi e loro mi hanno molto aiutato. Io ho cercato di indirizzare le energie, più che negli schiaffi che sarebbero potuti partire, nel divertimento, nel fatto che eravamo fortunati a trovarci in una scenografia così bella, con quei costumi e quelle acconciature meravigliose, con un copione che aveva delle grosse potenzialità, per cui non rimaneva che suonarlo tutti insieme».
La sceneggiatrice Lisa Nur Sultan – che ha trasportato la narrazione dalla Francia degli anni Cinquanta all’Italia degli anni Trenta – ha sottolineato l’intenzione degli autori di rendere “7 donne e un mistero” «un film di Natale divertente per le donne e per gli uomini italiani che arrivavano da un anno pesante, quindi abbiamo cercato di farlo più agile, più compatto e meno cupo di quello francese, con una forma di amicizia diffusa all’interno di questi personaggi che poi si è creata anche tra le attrici. La combinazione un po’ giocosa e gioiosa che volevamo si è realizzata anche partendo da un copione che era come un canovaccio su cui loro potessero giocare durante le riprese e cercando di creare un ambiente in cui la gente avesse voglia di passare il pomeriggio di Natale e divertirsi».
Pare che le attrici facenti parte del cast abbiano lavorato in grande armonia sul set, diventando addirittura amiche, un legame che è proseguito anche dopo la conclusione delle riprese: «Basta con questa idea che le donne devono farsi la guerra, se siamo unite saremo sempre più forti: è un messaggio molto bello, molto importante», ha raccontato Margherita Buy. […] «Per me si è trattato di un’esperienza surreale. Caratterialmente sono una solitaria ma in questa convivenza forzata la quotidianità con tante donne mi ha fatto bene. È stata anche un’occasione per osservare e confrontarmi, anche con il lavoro delle altre».
Micaela Ramazzotti ha, invece, messo in luce l’importanza del lavoro al femminile, anche per superare alcune ritrosie caratteriali: «Un film di sole donne al cinema dà molta forza, molto coraggio. Per me che sono poco socievole è stata una grande esperienza e volevo veramente interagire con colleghe così brave. Sono convinta che 7 uomini non sarebbero riusciti tanto bene».
E mentre Benedetta Porcaroli esalta le tematiche domestiche del film, con la famiglia come «vero macrotema», Sabrina Impacciatore ricorda le difficoltà iniziali sul set, causate dalla necessità di imparare a conoscere le colleghe, oltre che l’importanza della pellicola per la nuova immagine che offre del femminile: «All’inizio ero terrorizzata ma, per me, questa non è una novità. Sono sempre sconvolta dalla paura prima di iniziare un nuovo progetto. In questo caso, però, c’era anche un’altra variante. Prima ci siamo studiate reciprocamente, com’è normale, poi la nostra relazione ha cominciato a crescere andando sempre più verso la complicità. E nel gioco comune e nella risata abbiamo trovato le basi per un legame che dura ancora oggi. Il fatto che esista una chat dove noi ci sentiamo, confrontiamo, ogni tanto facciamo il punto, ‘Come va? Come state? Come ti senti? Come è andata la visita medica? Come stai oggi?’, questa secondo me è una cosa che dà la misura della chimica e della complicità che si è sviluppata in questo film. L’onda che viene dagli Stati Uniti sta arrivando anche da noi. Questo è il primo vero film dopo il Me Too che celebra il femminile in sette forme diverse, dimostra che anche le donne possono far ridere e giocare insieme. Per noi è un film politico».
Se la pellicola di Genovesi insiste maggiormente sulla dimensione comica e ludica, scherzosa, della storia, ritenuta più adatta al pubblico italiano, è anche vero che, invece, il successo decretato all’originario “8 donne e un mistero” di Ozon deriva dall’atmosfera più cupa – giallo-rosa – evocata dal regista, oltre che dal carisma attoriale emanato dalle dive in scena e dal particolare approccio della macchina da presa con i loro corpi e volti.
Ripercorriamo – allora – in sintesi, gli snodi narrativi principali, le relazioni fra le attrici e le caratteristiche estetiche di “8 Femmes” (il titolo originale francese), considerato non a torto – a vent’anni di distanza dalla sua prima uscita cinematografica – un film di culto.
“8 Femmes”. Il titolo francese di quest’ultimo film del giovane regista Ozon è emblematico, riassuntivo, illuminante: nella sua concisione, certo più azzeccato di quello italiano, che – alla stregua di logiche commerciali – introduce il riferimento a un mistero che non si rivela, comunque, il nucleo drammatico dell’opera.
Perché il vero asse portante della pellicola non è il fantomatico delitto perpetrato, all’esordio, ai danni dell’altrettanto oscuro papà Marcel, capofamiglia inesistente, presenza clandestina nella sua stessa casa, ectoplasma, inquadrato due sole volte, e sempre di spalle; il vero nodo drammaturgico, la visione epifanica, l’illuminante bellezza del film sono le donne.
“8 Femmes”: otto straordinarie interpreti, fra le più prestigiose e conosciute attrici francesi, dalla più anziana Danielle Darrieux alle più giovani Ludivine Sagnier (presente anche in “Gocce d’acqua su pietre roventi”, 2001, e nel successivo “Swimming Pool”, 2002, sempre di Ozon) e Virginie Ledoyen, passando attraverso tre vere e proprie star della cinematografia d’oltralpe, Catherine Deneuve, Isabelle Huppert e Fanny Ardant.
Otto personaggi a tutto tondo, otto caratteri poliedrici, sfaccettati, umbratili, decisamente imprevedibili, anche un po’ caricaturali, come è nello stile di François Ozon; e come si può riscontrare facilmente in “Giovane e bella” (2013) e – andando a recuperare i suoi primi lavori – nel già citato “Gocce d’acqua su pietre roventi”, “Sotto la sabbia” (2000), e “Sitcom”, suo lungometraggio d’esordio (1998).
L’uso di una satira feroce per portare alla luce ed evidenziare i buchi neri e le infinite assurdità della società contemporanea è noto ad Ozon: questa volta ad essere preso di mira dall’umorismo graffiante (ma anche dolente, a tratti) del regista è l’universo femminile, vera e propria camera oscura di segreti, doppiezze e contraddizioni, di fratture sentimentali ed esistenziali pressoché insanabili.
«Sognavo da tempo di girare un film con sole donne e pensavo a “Donne” di George Cukor […]. Ma poi ho scovato una pièce teatrale degli anni 60’ scritta da Robert Thomas, esperto di commedie con mistero annesso»: proprio partendo da qui, da questo vecchio testo teatrale, Ozon confeziona una elegante, raffinata, e in più di un momento esilarante commedia giallo/rosa, in grado di rievocare con maestria e un’abbondante dose di ironia amara sia le atmosfere della sophisticated comedy americana degli anni 30’ e 40’ (con quell’impostazione fortemente teatrale delle scene, il diluirsi dell’azione a favore della ricchezza dei dialoghi e l’inserimento nel testo di numeri musicali), sia quelle misteriosamente intriganti dei romanzi di Agatha Christie (l’antica dimora di campagna sepolta dalla neve dove agisce indisturbato un ignoto assassino).
La commistione di generi, il citazionismo colto costituiscono, dunque, la cifra stilistica di questo film, dove l’istinto farsesco, il divertissement compiaciuto del regista si manifestano nella caratterizzazione dei personaggi femminili (raffiguranti ciascuno un determinato archetipo, un ben preciso tipo di donna: dall’Ingenua, alla Nevrotica, alla Femme Fatale), come nella scelta di rivestire le attrici di abiti che – per foggia e stile – richiamano alla memoria immagini di grandi eroine cinematografiche del passato, divine come Rita Hayworth (cui fa il verso in una scena molto sensuale e malinconica Fanny Ardant), Lana Turner e Audrey Hepburn.
E se Ozon qui pare non amare alla follia le donne (componendone un ritratto non esente da una certa perfidia di fondo, anche se frammista a comprensione e complicità), senza dubbio ama ed omaggia le sue attrici; le accerchia, le vezzeggia, le coccola con la macchina da presa, le fissa con occhio adorante e impietoso nell’eternità dei primi piani, cristallizza il loro ricordo in una foto (quella di Romy Schneider), che passa di mano in mano.
Infine, le costringe a mettersi a nudo, a svelarsi parzialmente davanti allo spettatore: cerca di tirar fuori da loro il meglio, perfino l’inusuale (sorprende vedere l’algida Catherine Deneuve che canta e balla).
Si ride molto, in questo film che profuma di pochade, sino alla pirotecnica conclusione: ma altrettanto spesso si piange, si riflette, ci si interroga sulla vacuità dei sentimenti, sui limiti dell’amore, sulla crisi del concetto borghese di famiglia, in una società dove i maschi sono assenti e le donne ridotte ad arroganti quanto fondamentalmente solitarie manipolatrici.
È questo l’orizzonte estremo entro cui si proietta la storia di “8 Donne e un mistero”: come sottolinea malinconicamente Danielle Darrieux nel finale, recitando “Il n’y a pas d’amour hereux”, poesia di Louis Aragon su musica di Georges Brassens.
“7 donne e un mistero”
Regia: Alessandro Genovesi
Cast: Margherita Buy, Diana Del Bufalo, Sabrina Impacciatore, Benedetta Porcaroli, Micaela Ramazzotti, Luisa Ranieri, Ornella Vanoni
Soggetto: dal film di Francois Ozon “8 donne e un mistero” (2002)
Sceneggiatura: Alessandro Genovesi, Lisa Nur Sultan
Fotografia: Federico Masiero
Montaggio: Claudio Di Mauro
Costumi: Francesca Sartori
Produzione: Mario Gianani, Lorenzo Gangarossa per Wildside, Warner Bros. Entertainment Italia
Distribuzione: Warner Bros. Pictures