Il canto libero del cinema di Lina Wertmuller
«Addio mammina, non ci sono parole, solo un immenso vuoto e dispiacere. Non saprei come descrivere a pieno l’Amore e tutti gli insegnamenti che mi hai trasmesso. Hai fatto tanto per me. […] Ti sei sempre divertita e hai fatto tanto per le donne, per il cinema, per il teatro, per la musica, per l’Arte. Sei stata veramente un’artista geniale. Ti ringraziamo per i tuoi meravigliosi capolavori, che vivranno per sempre. Ti ringrazio di avermi amata, di avermi cresciuta così, di essere sempre stata dalla mia parte, di avermi sempre coccolata, di avermi dato tanta felicità e allegria. Spero di aver imparato da te la ‘joie de vivre’ che solo tu potevi trasmettermi con la tua allegria e positività. Sei stata una Mamma meravigliosa, la mia vita. Vivrai per sempre nel mio cuore. Ti immagino lassù con papà e questo mi aiuta ad affrontare la mancanza. Siete la mia vita e lo sarete per sempre! Bacia papà da parte mia… mi mancherete. Vi amo con tutta me stessa, per sempre».
Lina Wertmuller (all’anagrafe Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich), geniale ed eclettica regista napoletana – classe 1928 – se ne è andata lo scorso 9 dicembre, alla rispettabilissima età di 93 anni.
Maria Zulima – figlia naturale del marito, lo scenografo Enrico Job, scomparso nel 2008 – piange insieme al mondo del cinema internazionale la sua dipartita, dopo una lunghissima carriera costellata di successi; Lina ha sempre rifiutato la facile etichetta di madre adottiva: «Maria è la figlia di Job e quindi è mia figlia. È nata dal nostro amore. La vita è imprevedibile. Diventare genitori è stato bellissimo».
La Wertmuller colleziona, nella sua quarantennale carriera, ventitré lungometraggi (dal primo – “I basilischi”, del 1963 – per cui le viene attribuita la Vela d’argento al Festival di Locarno e che segna il debutto cinematografico di Stefano Satta Flores, al conclusivo e non molto apprezzato da pubblico e critica “Peperoni ripieni e pesci in faccia”, 2004, nato da un’idea della protagonista Sophia Loren) e otto opere televisive, tra le quali anche una trasposizione del “Gian Burrasca” di Vamba andata in onda tra il 1964 e il 1965, che le ispira l’anno seguente i cinematografici “Rita la zanzara” e “Non stuzzicate la zanzara”, ancora con Giancarlo Giannini (che in seguito diverrà una delle maschere comico-drammatiche principali della cineasta) e Rita Pavone. «Allora facevo tanto teatro e non guadagnavo molto, così accettai di girare quei musicarelli», ricorda l’attore di origini spezzine. E aggiunge, in un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera” poco dopo la scomparsa della Wertmuller: «Mi scoprì con Rita Pavone. Senza di lei avrei fatto poco. All’Accademia Silvio D’Amico avevo il grande Orazio Costa come insegnante. Ma lei è stata la vera maestra sul campo. Venne a vedere un mio spettacolo all’Accademia. Mi ha aperto la mente e mi ha fatto capire cos’è la fantasia. […] Sul set era molto decisa, anche aggressiva spesso. Capiva la psicologia di attori e attrici, ci tirava fuori il meglio».
La gavetta iniziale della Wertmüller è densa e precoce: nel 1953 è assistente di Armando Grottini per il musicarello sentimentale “Napoli canta”, con Giacomo Rondinella e la diciassettenne Virna Lisi. A distanza di dieci anni lavora con Federico Fellini, come assistente ne “La dolce vita” e “8 e 1/2”.
Nella seconda metà degli anni Sessanta ha inizio la nutrita e fondamentale collaborazione cinematografica con il già citato Giannini, che si compone di sei pellicole: “Mimì metallurgico ferito nell’onore” (1972), “Film d’amore e d’anarchia – Ovvero Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…” (1973), “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” (1974), “Pasqualino Settebellezze” (1976), “La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia” (1978) e “Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici” (1978).
I primi tre film del blocco con Giancarlo Giannini vedono in scena, come elemento femminile di una coppia che diverrà iconica, l’attrice milanese Mariangela Melato, presentata a Lina dal marito Enrico Job: «Non ricordo come e perché ebbi l’idea di metterla in coppia con Giannini – ricordava la Wertmuller – ma che i due insieme avrebbero fatto scintille lo intuii subito. Fa parte del nostro mestiere scoprire il funzionamento di certe alchimie. Lei faceva teatro serio con Ronconi e usarla in un’altra chiave, nelle mie commedie grottesche, fu un’ottima trovata».
Per “Mimì metallurgico ferito nell’onore” la Melato si aggiudica il Nastro d’argento come miglior attrice, mentre il suo partner Giannini riceve il premio come miglior interprete a Cannes per “Film d’amore e d’anarchia”.
“Pasqualino Settebellezze” – pellicola molto apprezzata anche dal pubblico americano – regala alla Wertmüller nel 1977 ben tre premi Oscar (migliore regia, miglior film straniero, migliore sceneggiatura originale), mentre Giancarlo Giannini viene candidato come miglior attore, e racconta: «Pasqualino, quello vero, lo conobbi, era stato in un campo di concentramento. Io avrei voluto interpretarlo come un Pulcinella recluso».
Lina Wertmuller è la prima regista a ricevere la candidatura, aprendo la strada a Jane Campion, Sofia Coppola, Kathryn Bigelow, Greta Gerwig, Emerald Fennell e Chloé Zhao.
La Melato ritorna a lavorare con Lina nel 1986 in “Notte d’estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico”, al fianco di Michele Placido, mentre Giannini prosegue la collaborazione – nel 1978 – con “Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici” e “La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia”, film crepuscolare e malinconico con Candice Bergen.
È sterminato l’elenco delle dive e dei divi che hanno lavorato con la Wertmuller: da Elsa Martinelli, Stefania Sandrelli, Piera Degli Esposti, Nastassja Kinski, Dominique Sanda, Faye Dunaway, a Ugo Tognazzi, Gastone Moschin, Paolo Villaggio, Roberto Herlitzka, Peter O’Toole, Rutger Hauer, solo per citarne alcuni.
Il 27 ottobre 2019 arriva a Lina da parte dell’Academy di Hollywood la notizia dell’assegnazione dell’Oscar alla carriera (la cerimonia ufficiale avrà luogo solo nel 2020), «per il suo provocatorio scardinare con coraggio le regole politiche e sociali attraverso la sua arma preferita: la cinepresa».
Sulla Wertmuller rimangono anche, per chi volesse approfondire la sua storia cinematografica e di vita, l’autobiografia “Tutto a posto e niente in ordine. Vita di una regista di buonumore” (Mondadori, 2012), e il biopic dell’intimo collaboratore Valerio Ruiz, “Dietro gli occhiali bianchi”, dove tra gli svariati aneddoti si racconta anche dell’amicizia della regista con Dustin Hoffman.
Riguardo l’annosa questione del cosiddetto ‘cinema al femminile’ e della facile etichettatura del suo cinema come ‘femminista’, la Wertmuller ha avuto modo di spiegare, in tempi recenti: «Non ho mai fatto distinzione tra maschi e femmine. L’importante per me è avere carattere. Noi donne abbiamo una grandissima forza, ma purtroppo ancora oggi tocca farci rispettare per valorizzare i nostri talenti. […] Non si può fare questo lavoro perché si è uomo o perché si è donna. Lo si fa perché si ha talento. Questa è l’unica cosa che conta per me e dovrebbe essere l’unico parametro con cui valutare a chi assegnare la regia di un film».