“No Time to Die”: l’ultimo viaggio dell’Eroe
È piuttosto atipico, l’ultimo James Bond di “No Time to Die”, per la regia di Cary Fukunaga (“True Detective”, “Maniac”): del resto, lo era già diventato sin dall’inizio dell’ ‘era Daniel Craig’, l’attore inglese che gli ha prestato volto e prestanza fisica a partire da “Casino Royale” (2006) in cinque film, sino a quest’ultima prova.
“No Time to Die” è una pellicola che realmente segna un passaggio, una trasformazione e, a suo modo, una svolta epocale nel costrutto narrativo così come nella percezione dell’inossidabile Agente Segreto al servizio di Sua Maestà, nato nel 1953 dalla penna dello scrittore britannico Ian Fleming.
Senza anticipare nulla del rutilante e grandioso finale (comunque risaputo perché ampiamente svelato dalla stampa mesi prima della più volte rimandata uscita in sala del film, a causa della pandemia), in cui Bond assurge anche a livello visivo ai fasti di un eroe romantico e tragicamente decadente, è palese che nella pellicola di Fukunaga i tempi siano mutati e che non esistano più gli eroi (e neppure gli anti-eroi), così come la millenaria contrapposizione tra buoni e malvagi.
Gli ideali sono crollati, le certezze ideologiche sfumate, e – in una sorta di indistinta e apparentemente pacificata Terra di Mezzo – si muove senza troppe velleità di un ritorno in azione il pensionato Bond, nel suo buen retiro giamaicano; in seguito richiamato indietro (alle sue solite missioni impossibili, come a un passato di natura sentimentale con cui deve fare i conti) da un amico agente della Cia e da un folle sanguinario, Lyutsifer Safin (il Rami Malek premio Oscar per “Bohemian Rhapsody, 2018), che coltiva come unico obiettivo quello di sterminare l’umanità con un’arma biologica basata sull’elaborazione del Dna degli individui.
163 minuti (ma scivolano via senza pesantezze, tenuto conto anche delle due sequenze introduttive, una che riavvolge il filo della memoria sul passato dell’avvenente psicologa e spia Madeleine Swann-Lea Seidoux, Palma d’oro a Cannes nel 2013 per “La vita di Adèle; l’altra splendidamente fotografata nell’evocativa ambientazione dei Sassi di Matera) di ritmo serrato, con solo qualche banalità nell’iterazione di scene e azioni, per l’ultimo ritorno al centro della scena della figura di 007, un po’ invecchiata e stanca, meno muscolare e dai risvolti più dolorosamente umani, ma anche smaccatamente autoironica nell’approccio con tutto il vecchio armamentario bellico.
Il tutto nel rispetto dell’impronta più compassata e seriosa che Craig ha impresso alla sua rappresentazione di Bond, pur nell’eleganza dell’assunto. «Non è che ci fossero restrizioni a riguardo, decisamente lo humour fa parte di James Bond», ha spiegato l’attore in un’intervista a “Empire”. «Tanti parlano dell’umorismo in quei film, c’era più humour e c’erano più gag quando Roger Moore lo faceva. Ho sempre detto che mi piace fare le gag, ma nel modo in cui abbiamo costruito i film, non puoi scrivere quelle cose. Le battutine sembrerebbero fuori posto. Ho sempre pensato che, se avessi cominciato a fare a mitraglia battute a effetto, la gente avrebbe reagito con: “Nah”.»
“No Time to Die” (il titolo è emblematico e presuppone un’evoluzione futura del mitico 007 a dispetto del finale, dal momento che – giunti al 25esimo episodio della saga bondiana – è risaputo che il personaggio non venga mai lasciato libero di morire del tutto) è denso di un nostalgico umorismo anche nella rappresentazione della vecchia Spectre, simbolo di un’organizzazione al tramonto, e che – non a caso – viene fisicamente sterminata, in un passaggio turbolento e piuttosto stilizzato del plot.
E se Nomi (Lashana Lynch), il nuovo Agente 007, è una donna afroamericana che appare (in abiti di scena, battute e atteggiamenti) come la parodia delle antiche ‘Bad Girl’ che popolavano i precedenti film della serie e anche molto cinema di genere, perfino le tradizionali Bond Girl, corollario alquanto sessista alle imprese collettive e private di Bond, non esistono più: al loro posto trovano spazio rispettivamente Paloma (Ana de Armas), splendida replicante in abito da sera che si è preparata all’azione nel corso di un tirocinio durato tre settimane (peraltro con ottimi risultati), e la suddetta Madeleine, in grado di rendere l’ostico James dapprima innamorato ferito e poi, addirittura, padre.
Del resto, è lo stesso Fukunaga ad aver voluto imprimere una svolta nella caratterizzazione del personaggio, di cui ricorda un comportamento a suo parere pesantemente maschilista nel film del 1965 “Agente 007 – Thunderball: Operazione Tuono”, come racconta a “Hollywood Reporter”:
«Penso che le persone siano giunte al punto in cui non accettano più quelle cose, grazie al cielo. Bond è un personaggio che è stato scritto nel 1952 e il primo film è uscito nel 1962. Ha una lunga storia e in passato è stato ritratto in modo molto diverso da come è ora. James Bond non può diventare un’altra persona da un momento all’altro. Di certo può assolutamente cambiare il mondo che lo circonda e il modo in cui lui stesso si relaziona con il mondo. Alla fine è solo la storia di un uomo bianco che lavora come spia, ma è comunque importante impegnarsi per cercare di rendere i personaggi femminili molto più che dei semplici accessori».
“No Time to Die”
Origine: Regno Unito, Usa, 2021
Regia: Cary Fukunaga
Durata: 163’
Sceneggiatura: Cary Fukunaga, Neal Purvis, Robert Wade, Phoebe Waller-Bridge
Fotografia: Linus Sandgren
Montaggio: Tom Cross, Elliot Graham
Musica: Hans Zimmer
Cast: Daniel Craig, Rami Malek, Léa Seydoux, Lashana Lynch, Christoph Waltz, Ralph Fiennes, Ben Whishaw, Naomie Harris, Rory Kinnear, David Dencik, Jeffrey Wright, Ana de Armas, David Dencik, Dali Benssalah, Billy Magnussen, Mounir Echchaoui
Produzione: Metro-Goldwyn-Mayer, Columbia Pictures, EON Productions, Danjag LLC
Distribuzione: Universal Pictures