Venezia 78: “Dune”, l’umanesimo extragalattico di Denis Villeneuve
Dopo la presentazione in anteprima mondiale alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia, lo scorso settembre, è approdato nelle sale cinematografiche italiane “Dune” del regista canadese Denis Villeneuve, che negli ultimi anni si è confermato con gli ultimi tre film (vedi anche “Arrival” e “Blade Runner 2049”) un instancabile e provetto viaggiatore fra mondi e cosmogonie, tanto quanto Chris Nolan (“Inception”, “Dunkirk”, “Tenet”) per quanto riguarda i costanti andirivieni nel tempo (sia della storia che del racconto).
Prima parte dell’ambiziosa trasposizione filmica del ciclo di “Dune”, dello scrittore di fantascienza Frank Herbert (sei romanzi, il primo del 1965), che anticipava in tempi non sospetti temi ecologici, politici e umanistici, stagliandoli sullo sfondo utopistico di una cosmogonia del futuro (più di un decennio prima della saga lucasiana di “Star Wars”), la pellicola concepisce lo spettacolo come un’esperienza estetica totale, magmatica, persino un po’ magniloquente, e la conduce sino alle sue estreme propaggini.
«“Dune” è un film che va visto sul grande schermo, e mi auguro che riporti il pubblico in sala», ha sottolineato il regista durante la conferenza stampa veneziana di presentazione.
Il film è stato sognato, progettato e girato pensando a IMAX. Quando guardi questo film sul grande schermo, è quasi un’esperienza fisica
Abbiamo a che fare con un’opera di complessa gestazione, che si propone di restituire la vastità e la magnificenza dell’universo finzionale del ciclo romanzesco laddove due illustri precedenti hanno fallito: stiamo parlando di “Dune” di David Lynch (1984; nonostante il clamoroso flop dell’epoca, non del tutto trascurabile) e del progetto di adattamento messo in cantiere verso la metà degli anni Settanta dal regista e scrittore cileno Alejandro Jodorowsky (poi riassunto nelle sue alterne vicende dal documentario del 2013 Jodorowsky’s Dune, per la regia di Frank Pavich).
Qui – a differenza di quanto accade nel film di Lynch – non è un’impersonale voce off a raccontare la storia, ma è lo stesso protagonista, il nobile Paul Atreides (Timothée Chalamet, efebico quanto basta per il ruolo di un giovane duca visionario ma, per certi versi, ancora immaturo) a farsi carico di una narrazione archetipica densa di implicazioni filosofiche e metafisiche, dove – come nella maggior parte dei costrutti epici – a venire combattuto è un impero frutto di potere pervasivo e malvagio, e ad assumersene l’onere è un predestinato ‘malgré lui’.
Alla presentazione veneziana Villeneuve cita, a proposito dell’elaborazione della sceneggiatura di “Dune”, il contributo di Eric Roth (tra i suoi script anche quello di Forrest Gump): «È stato impareggiabile», ammette il regista, che tra i film e i cineasti di riferimento per il proprio lavoro ama citare “2001: Odissea nello spazio” (1969) di Stanley Kubrick e le figure di Steven Spielberg, Jean-Luc Godard e Jacques Audiard; «Ci siamo immersi in un futuro sotto il controllo di un impero interstellare e nella storia del giovane Paul Atreides e del suo destino: un ragazzo di nobile retaggio che si è trasferito sul pianeta Arrakis-Dune insieme ai genitori. Qui si cela una preziosa risorsa, una sorta di miscela di spezie in grado di amplificare il potenziale umano, ma la lotta per conquistarla scatena guerre. Abbiamo mescolato dramma e fantasia in pari misura».
La colonna sonora composta da Hans Zimmer, ipnotica, dominata dalle percussioni, restituisce un senso di apocalittica grandezza che pervade questo primo episodio in cui si mescolano senza soluzione di continuità amore, morte, questioni dinastiche, sogni profetici, visioni, messe a ferro e fuoco, in un passaggio cromatico dai marroni agli ocra degli ambienti esterni (è stato notato dalla critica, correttamente, che i paesaggi desertici e assolati del pianeta Dune ricordano quelli afgani) sino alle rifrazioni chiaroscurali degli interni.
Racconta Zimmer: «Ho composto le musiche sia durante la lavorazione che nella fase del montaggio. Le immagini del film mi hanno ispirato note, armonie e dissonanze. Credo che insieme a “Dunkirk” di Christopher Nolan, “Dune” sia l’impegno che negli ultimi anni più mi ha entusiasmato e coinvolto e, sì, è vero che come Villeneuve io sono un fan dei Radiohead».
Ottimo anche il cast, a dir poco variegato, con i due ‘pezzi da novanta’ incarnati da Charlotte Rampling, terribile e misteriosa nei panni della reverenda madre Bene Gesserit Gaius Helen Mohiam, che sottopone il predestinato Paul a una durissima e dolorosa prova d’iniziazione; e Javier Bardem, terragno, ombroso e seducente in quelli di Stilgar, il capo della tribù dei Fremen, i nativi di Dune. «Mi stanno a cuore i temi ambientali – ha spiegato il divo spagnolo – per questo mi sono sentito subito connesso con il mio personaggio, che difende l’ambiente affinché il suo popolo possa sopravvivere. Parlare di questo tema è un passo avanti verso la direzione giusta».
Il nuovo “Dune” è un film che punta senz’ombra di dubbio alla spettacolarità: la quale, tuttavia, si inserisce armonicamente entro un impianto narrativo rigoroso e verosimile.
«Ho impiegato mesi nella ricerca di ogni location con il direttore della fotografia: è stato un viaggio affascinante e creativo, in particolare in Norvegia e Giordania», ha ribadito Villeneuve a Venezia. «Vorrei rassicurare i fan dell’universo creato da Herbert: il mio obiettivo primario è sempre stato l’essere fedele al romanzo. Volevo che ci fosse tra lo schermo e la platea una sorta di ‘corrente dei sensi’, che passassero le emozioni che io stesso, giovanissimo, avevo provato. Ho letto “Dune” da adolescente e ho sempre desiderato realizzare un film da un libro che per me stringe il rapporto tra gli uomini e la natura. Da ragazzo ero indeciso tra la carriera di un biologo e quella di regista, e anche successivamente ho sempre considerato il mio lavoro come quello di un biologo delle immagini e delle emozioni».
“Dune” (Usa, Ungheria, Giordania, Emirati Arabi Uniti, 2021)
Regia: Denis Villeneuve
Durata: 155’
Sceneggiatura: Jon Spaihts, Denis Villeneuve, Eric Roth (dall’omonimo romanzo di Frank Herbert)
Fotografia: Greig Fraser
Montaggio: Joe Walker
Musica: Hans Zimmer
Cast: Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Josh Brolin, Stellan Skarsgård, Dave Bautista, Sharon Duncan Brewster, Stephen McKinley Henderson, Zendaya, Chang Chen, David Dastmalchian, Charlotte Rampling, Jason Momoa, Javier Bardem
Produzione: Denis Villeneuve, Legendary Pictures (Mary Parent, Cale Boyter), Joe Caracciolo Jr.
Distribuzione: Warner Bros.