Acqui in Azione: “Sulle Terme si dica la verità”
Dabirmida: "Il Comune non era obbligato a cedere le proprie quote"
ACQUI TERME – «La decisione di cedere le quote azionarie in Terme di Acqui Spa da parte del Comune è stata una decisione politico amministrativa, legittima fin che si vuole, ma non imposta da niente e nessuno»: è questa l’accusa di Acqui in Azione rivolta all’amministrazione Lucchini, a cui si chiede una presa di responsabilità. Il sindaco aveva invocato un obbligo della Legge ‘Madia’ fondato su pareri. Dubbi da Renato Dabormida e compagni: «Di chi? In forma scritta?».
Rivendicando la funzione strategica delle Terme per il Comune (con fonti primarie), gli istanti puntano il dito su un diritto di recesso esercitato male: «Oggi ci si trova in una situazione per cui la totalità delle azioni è in mano al socio privato e il contenzioso giudiziario in essere potrebbe riguardare solo la determinazione del valore della quota comunale (quantificato dall’amministrazione in modo assai discutibile)». Colpa anche della Regione, all’epoca della Giunta Chiamparino, che non avrebbe coinvolto gli enti locali nella procedura di alienazione né neutralizzato il diritto di prelazione. Joint venture privato-pubblico funzionerebbero, secondo Acqui in Azione, come a Montecatini. «L’amministrazione non avrebbe dovuto dismettere a prescindere – conclude Dabormida – Avrebbe dovuto, al contrario, sfruttare le prerogative di socio di minoranza, interloquire, sollecitare interventi, presentare mozioni, minacciare azioni di responsabilità, impugnare bilanci, sollecitare il collegio sindacale e chiedere il controllo giudiziario del tribunale. A tutela non solo della partecipazione ma di stakeholders e cittadini».