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Covid-19: sono scesi sensibilmente i casi di ricovero nelle terapie intensive e anche i decessi
Ogni settimana l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) pubblica un “Rapporto di sorveglianza”, in cui si esaminano le caratteristiche salienti e l’evoluzione temporale più recente della situazione pandemica da SARS-CoV-2 nel nostro Paese.
Le conseguenze della terza ondata, tra febbraio e giugno, sono state molto meno pronunciate e gravi, in termini soprattutto di decessi e pressione sulle strutture ospedaliere, di quanto accaduto nella seconda. Ciò è potuto accadere grazie soprattutto all’avvio e all’intensificazione della campagna vaccinale, pur in presenza di restrizioni molto più blande in termini di mobilità personale e limiti allo svolgimento delle attività economiche.
Ora tuttavia è in atto una quarta ondata pandemica, con una notevole intensificazione dei contagi e una ripresa di ricoveri sintomatici ospedalieri e occupazione di terapie intensive. La maggior parte delle regioni (14) ha già superato la vecchia soglia critica di 50 nuovi contagi settimanali ogni 100mila abitanti (in Piemonte, alla fine dello scorso week end, 3 province lo hanno fatto, con Alessandria in testa all’infausta classifica). La Sardegna si avvia a diventare zona gialla, avendo superato la nuova soglia di occupazione delle terapie intensive fissata al 10%, mentre Liguria, Lazio e Sicilia sono oltre metà strada (tuttavia tutte le regioni rimangono ancora sotto la soglia dei tassi di occupazione dei posti letto Covid ordinari del 15%, per cui le restrizioni non scatteranno finché entrambe le soglie non verranno superate).
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In questo contesto generale, in cui la cosiddetta variante delta è diventata dominante (95% dei casi a fine luglio contro il 23% di giugno), paradossalmente, si intensifica il dibattito sull’utilità di completare la campagna vaccinale, alimentato da preoccupazioni popolari circa la sicurezza dei vaccini e dubbi circa la loro efficacia, e fomentato da forze politiche decisamente no-vax o vax-free, che speculano su timori e disinformazione della gente.
Facciamo chiarezza esaminando alcuni dati ad hoc, desumibili da elaborazioni effettuate sui dati forniti dall’ISS. Cominciamo anzitutto dalla situazione vaccinale. Come si può osservare dalla tabella 1, al 17 di luglio su 54 milioni circa di persone vaccinabili (gli over 11), solo il 36% aveva completato il ciclo completo previsto, mentre il 24% aveva ricevuto una dose, e il 39% della platea complessiva non era vaccinata, con una percentuale addirittura del 62% nella fascia d’età tra i 12 e i 39 anni.
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Superate le 500mila somministrazioni
Soltanto per gli over 80 si era raggiunta una percentuale di vaccinazione completa vicina al 90%, mentre anche per gli over 60 si era appena superata la metà della propria coorte. Nei 30 giorni coperti dalla rilevazione dell’ISS, con intervalli temporali peraltro diversi per le varie casistiche, ma sostanzialmente riguardanti il mese di luglio, si sono registrati circa 90mila nuovi contagi, 2.930 ospedalizzazioni, 203 ricoveri in terapia intensiva (TI) e 180 decessi.
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La maggior parte delle diverse tipologie di casi riguarda persone non vaccinate, con percentuali pari al 67% per i contagi, il 76% per le ospedalizzazioni, l’83% per i ricoveri in TI e il 71% per i decessi. Le analoghe percentuali relative ai vaccinati con ciclo completo sono molto più basse, con valori di poco superiori al 10% per ogni tipologia, salvo un 19% per i decessi, peraltro quasi tutti concentrati nella fascia degli ultra-ottantenni, che rappresentano addirittura l’85% dei morti totali tra i vaccinati (quasi sempre in presenza di comorbilità). È pure interessante osservare come la fascia dei non vaccinati tra 12 e 39 anni contribuisca per oltre il 50% ai contagi totali, il 30% alle ospedalizzazioni, il 13% alle TI e l’1% ai decessi, a testimonianza del fatto che la combinazione di variante delta e mancata vaccinazione produce effetti nefasti anche su persone giovani, che si presumono esenti da forme gravi della malattia (trascurando inoltre le conseguenze del cosiddetto long-covid).
I numeri commentati in precedenti sono assoluti, e quindi non tengono conto della diversa popolazione presente nei gruppi di vaccinati e non per fasce d’età. Per evitare possibili distorsioni interpretative (come ad esempio quelle proprie di certa stampa, che allo scopo di asserire l’inutilità dei vaccini evidenza un uguale o superiore numero assoluto di casi tra vaccinati e non, circostanza peraltro inevitabile quando la percentuale di vaccinati è prossima al 100, come ad esempio in Israele), occorre rapportare i dati assoluti alla popolazione di riferimento. Questo è quanto viene fatto nella tabella 2, laddove le colonne 3, 4 e 5 riportano la numerosità delle varie casistiche epidemiche per 100mila persone di riferimento, e quindi di fatto il rischio connesso al fatto di vaccinarsi o meno.
Come si può agevolmente notare, la possibilità di contrarre la malattia Covid19 è 2,6 volte più elevata tra i non vaccinati rispetto ai vaccinati con ciclo completo. I corrispondenti rapporti per ospedalizzazioni, TI e decessi salgono a 8,5, 17,5 e 25,6. Rapporti solo lievemente inferiori, e quindi comunque elevati, valgono anche per i più giovani. Inoltre, poiché l’inverso di tali rapporti rappresenta la probabilità di una casistica epidemica tra i vaccinati rispetto ai non vaccinati, il complemento a 100 di tale probabilità denota il grado di efficacia dei vaccini. Come risulta dalla colonna 7, la vaccinazione completa consente una efficacia del 62% contro la malattia, dell’88% contro l’ospedalizzazione, del 94% contro il ricovero in TI e del 96% contro il decesso, un’efficacia peraltro trasversale rispetto alle varie fasce d’età.
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La colonna successiva mostra, per confronto, l’efficacia dei vaccini un mese prima, a giugno, quando la variante delta non era ancora prevalente, come già accennato all’inizio. Come si può osservare, l’efficacia vaccinale era maggiore, essendo pari all’81% contro la malattia, al 94% contro l’ospedalizzazione, al 98% contro la TI e al 99% contro la morte. Questi dati confermano quanto emerge dall’esperienza di Israele, dove la variante delta ha ridotto in maniera intensa l’efficacia vaccinale, inducendo a prendere in considerazione l’opportunità di una terza dose, soprattutto per le categorie di persone più anziane e fragili.
Non viene tuttavia intaccata la solidità dell’argomentazione per cui, nonostante la delta, i vaccini offrono una valida copertura contro le forme più gravi della malattia (e soprattutto ricovero in TI e morte).
LEGGI E SCARICA LA TABELLA 2 IN PDF
Un utile esercizio conclusivo consiste nello stimare quanti casi avversi si sarebbero potuti evitare, nel periodo di 30 giorni considerato, con una vaccinazione completa delle persone che ne sono ancora prive. Come mostra l’ultima colonna della tabella 2, si sarebbero rilevati 35.574 contagi in meno (il 40% circa), 1.964 minori ospedalizzazioni (più di 2/3), 158 minori TI (3/4 in meno) e 123 minori decessi (il 70% in meno).
LEGGI IL BLOG DI CARLUCCIO BIANCHI
I costi individuali e collettivi del rifiuto o dell’esitanza vaccinale sono quindi elevatissimi. Una corretta informazione dovrebbe favorire una valutazione non distorta dei rischi e benefici dei vaccini, anziché alimentare infondate preoccupazioni o addirittura fake news.