Vitigni ‘minori’? In realtà sono un’eccellenza
Oggi prendiamo in prestito un termine spesso abusato, BIODIVERSITA’, e lo facciamo per parlare di una delle nostre misconosciute eccellenze, la straordinaria varietà di vitigni spesso definiti (a torto) minori che popolano lo stivale ed anche la nostra provincia. Lo facciamo con Luca Salvigni, recente ed ottimo acquisto della nostra delegazione AIS. Proveniente dall’Emilia Romagna si è stabilito a Strevi da alcuni anni, sommelier ed appassionato di rarità enologiche ci parla di un vitigno a bacca bianca che pochi produttori stanno cercando di portare nuovamente in auge e che sta incontrando sempre più il favore di appassionati e consumatori, il “Caricalasino”.
Nel corso degli anni si è rafforzata in me l’idea che:
noi Italiani conosciamo a memoria ogni angolo delle più importanti città del mondo, ma non abbiamo idea di cosa ci sia infondo alla strada che parte dietro casa nostra
Questa non vuole essere una critica, ci mancherebbe!
È una semplice constatazione sulla nostra capacità di guardare oltre ai nostri confini, un’abilità innata che abbiamo nel sangue, non per altro noi siamo il frutto di una lunga tradizione di navigatori ed esploratori.
È cosi che inevitabilmente la nostra voglia di esplorazione ci porta, anche nel vino, a guardare e a conoscere il più possibile l’enologia che si trova fuori dai nostri confini. Eppure viviamo nel paese con la più grande Biodiversità al mondo, degli oltre 1300 vitigni censiti a livello mondiale almeno 500 sono piantati in Italia, oltre un terzo delle varietà mondiali le abbiamo noi, in casa. Nel mio cercare di essere “esploratore in patria” ho iniziato un percorso, quello dei vitigni dimenticati, tutti quei vitigni che in Italia non hanno il giusto palcoscenico, non hanno quella risonanza meritata.
In questo mio girovagare ho scelto “letteralmente” quella famosa strada che parte dietro casa e, inerpicandomi fra le colline e le tradizioni dell’Acquese, ho incrociato lui, il Carica l’Asino.
Siamo verso la fine del ‘800, l’Italia enologica è stata colpita da una catastrofe chiamata Fillossera (un insetto capace di distruggere ettari ed ettari di vigneti), la situazione è drammatica, le scelte sono drastiche, ed è in quella ripartenza, è in quel canto della Fenice che sulle pendici più alte e più impervie delle colline Acquesi ed Alessandrine appare un vitigno a bacca bianca che ha trovato in quelle zone il suo habitat ideale.
Oggi, grazie agli studi in laboratorio possiamo affiancare il Carica l’Asino per genealogia ai liguri Pigato e Vermentino.
Leggenda vuole che il nome derivi proprio da quelle colline, quelle colline così impervie da essere impossibili da salire con i carri, quelle colline dove solo gli asini riuscivano a salire e scendere durante la vendemmia con il raccolto sul dorso.
Nel corso degli anni, come in tutte le favole c’è un momento del racconto in cui il protagonista esce per un attimo di scena; quello è il periodo in cui il Vitigno scompare, o meglio, si nasconde; si nasconde in mezzo ad altri vitigni, si maschera tra i filari di Moscato e Cortese, venendo vinificato assieme a quei grappoli senza che vi fosse una precisa volontà stilistica.
Un’uscita di scena che durerà quasi un secolo, fino al 1991 quando a Strevi Patrizia Marenco, Enologa della Cantina di Famiglia, scopre un vigneto di Carica l’Asino nella proprietà di un Vignaiolo della Val Bagnario, Ivaldi.
Il colpo di fulmine è immediato, la volontà di riportare alla ribalta un vitigno cosi legato al territorio è un progetto che ha bisogno solo di una cosa, di crederci fino in fondo.
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Con l’aiuto di un noto vivaista riproduce 3000 piantine, dedica terra, tempo ed energie per portare in produzione il nuovo vigneto, e, scommettendo in maniera ancora più decisa sullo stesso, sceglie di vinificarlo in purezza dedicandogli un’etichetta tutta sua, il Carialoso.
Ad oggi, il Carialoso è l’unico vino prodotto con il 100% di Carica l’Asino, altri produttori, pochi, pochissimi, hanno scelto la via dell’Assemblaggio con altre Uve a bacca bianca trovando vini Eccezionali!
Ho avuto la possibilità di degustare diverse annate dello stesso in una degustazione presso le Cantine Marenco, trovando un vino con un profilo delicatamente aromatico, note erbacee e ricordi di frutta fresca, una bella struttura e con un gran potenziale di invecchiamento, sviluppando con gli anni delle note minerali che rimangono impresse nella memoria.
La mia speranza è che questo stupendo vitigno guadagni nuovamente ettari ed etichette, trovando spazio nell’olimpo dei grandi vini piemontesi. Chi lo sa ora, verso quale vitigno mi porterà il mio peregrinare, ma una cosa è certa, la strada dietro casa ora la conosco, ed è bellissima…
Parlando con Luca di questo vitigno mi sono tornate in mente tutte le discussioni sui vini bianchi, bevuti spesso acquistando l’ultima annata. Ritengo una mia piccola missione quella di cercare di far capire a quanti più consumatori possibili quanto sia più soddisfacente per molti vini da uve a bacca bianca saper aspettare qualche anno, per godere della meravigliosa complessità che sanno dare dopo qualche anno di affinamento. Credo che il Carica l’Asino in questo mio pugnare contro i mulini a vento potrà essere un fiero e valido alleato.
Il bicchiere è mezzo pieno…
SALUTE!