La memoria dell’Olocausto: “Il labirinto del silenzio”
?Il labirinto del silenzio? è un film coraggioso, onesto, un ?legal drama? ispirato da uno degli eventi più tragici del 900?
CINEMA – «Il punto non è la condanna, sono le vittime e la loro storia». Si tratta di uno degli assunti fondamentali de “Il labirinto del silenzio” (Im Labyrinth des Schweigens), opera prima del regista italo-tedesco Giulio Ricciarelli – candidata per rappresentare la Germania ai premi Oscar 2016 come miglior film straniero, anche se mai entrata nella cinquina delle pellicole prescelte dall’Academy Award – espresso attraverso le parole del procuratore generale Fritz Bauer (nell’interpretazione della leggenda del teatro tedesco Gert Voss, scomparso nel 2014, poco tempo dopo la realizzazione del film).
La pellicola, la cui storia prende l’avvio nel 1958, in una Germania operosa, alla ricerca del benessere sociale e totalmente immemore della tragedia della Shoah, racconta con rigore narrativo e stilistico un accadimento reale, l’accanita lotta di tre pubblici ministeri – qui condensati nella figura del giovane avvocato Johann Radmann (Alexander Fehling) – per portare all’attenzione di un’opinione pubblica assopita i crimini perpetrati dai nazisti, non solo i gerarchi, ma anche tutta l’enorme massa dei sottoposti, che rifiutarono la responsabilità dei loro atti con la scusa pretestuosa di essere stati dei semplici esecutori di ordini altrui.
Un immane lavoro d’archivio, disseppellendo atti giudiziari, resoconti, cronache archiviati in fascicoli polverosi, ma anche una corsa contro il tempo, una caccia all’uomo internazionale per scongiurare la fuga di Mengele e Eichmann, i principali imputati, e una dolorosa esplorazione sul campo, nella registrazione delle testimonianze dei sopravvissuti come di coloro che ad Auschwitz prestarono, più o meno consapevolmente, servizio.
In questo autentico “labirinto del silenzio”, dove l’omertà predomina colpevolmente anche tra le fila di coloro – procuratori, avvocati – preposti all’accertamento della verità, Radmann affronterà un vero e proprio percorso di formazione e maturazione personale, costretto a fare i conti con il proprio passato nazionale e familiare, supportato soltanto dal procuratore Bauer e dal giornalista Thomas Gnielka (André Szymanski).
I temi delle colpe dei padri, dell’accettazione del proprio vissuto, per quanto terribile esso sia, del ruolo e dei limiti della memoria, della ‘banalità del male’, sono emersi con maggiore frequenza nel cinema tedesco degli ultimi decenni (pensiamo a un film come “Chi, se non noi?”, di Andreas Veiel, 2011, in cui il pesante fardello dell’eredità parentale viene posto in diretta relazione con la nascita dell’esperienza terroristica della Banda Baader-Meinhof, ma anche a “Hannah Arendt” di Margarethe Von Trotta, 2012).
“Il labirinto del silenzio” è un film coraggioso, onesto, un ‘legal drama’ ispirato da uno degli eventi più tragici del 900’, le cui uniche pecche possono essere rappresentate dall’eccesso di sintesi, come, a tratti, da uno stile narrativo che ricorda un po’ troppo quello patinato delle fiction televisive.
Molto efficaci e intense le scene dei colloqui del giovane procuratore con vittime e carnefici, la cui tragica essenza è restituita dai primi piani su volti e sguardi.
Fruibile gratuitamente sulla piattaforma di Rai Play, “Il labirinto del silenzio” vale soprattutto a ricordare, specie alle giovani generazioni, che – come afferma il procuratore Bauer – «tutti quelli che hanno collaborato, tutti quelli che non hanno mai detto no, sono Auschwitz».
Il produttore Jakob Claussen ha così sintetizzato gli interrogativi che il film mette in campo: «A quei tempi, quando era necessario stabilire la necessità del processo di Auschwitz, il Pubblico Ministero Generale Fritz Bauer pronunciò questa frase provocatoria: “Nessuno ha il diritto di essere obbediente”. Quello che intendeva dire era che non dovrebbe essere permesso a nessuno di dire, dopo i fatti, che stava solo eseguendo gli ordini. Tutti hanno il dovere di dire No, quando vengono richieste cose così disumane, come è avvenuto sotto il nazismo. Fino a dove ci si può spingere per obbedire agli ordini? Questo ti libera dal dovere di ascoltare la tua coscienza? Fino a che punto devi assumerti le responsabilità delle tue azioni? Sono domande che continuiamo a porci».
“Il labirinto del silenzio” (Im Labyrinth des Schweigens)
Regia: Giulio Ricciarelli
Origine: Germania, 2016, 124’
Sceneggiatura: Elisabeth Bartel, Giulio Ricciarelli
Cast: Alexander Fehling, Gert Voss, André Szymanski, Marlene Wondrak
Scenografia: Manfred Döring
Costumi: Aenne Plaumann
Fotografia: Martin Langer, Roman Osin
Montaggio: Friedrich M. Dosch
Produzione: Uli Putz, Sabine Lamby, Jakob Claussen
Distribuzione: Good Films