«Serve vera bonifica o si rischia un nuovo disastro ambientale»
L'associazione per la rinascita della Valle Bormida scrive ai ministri Costa e Franceschini
DEGO (SV) – Sono passati più di 20 anni dalla sua chiusura, ma l’ex Acna continua a inquinare il territorio. Gli effetti nocivi di quello che fu lo stabilimento chimico di Cengio, infatti, sono purtroppo destinati a perdurare ancora a lungo. A maggio dello scorso anno, l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale) ha stilato un elenco di tutti i luoghi contaminati in Italia. Sugli oltre 12 mila siti individuati, 58 sono stati classificati come “gravemente inquinati e a elevato rischio sanitario”. Tra questi, 41 sono considerati siti di interesse nazionale (Sin), quindi sotto diretta responsabilità del Ministero dell’Ambiente. Tra le 41 aree Sin, c’è anche l’ex Acna di Cengio. Nel corso degli anni, un interesse nazionale non troppo curato, evidentemente. Nel 2009, infatti, l’Unione Europea aveva messo in mora il Governo italiano per non aver eseguito la valutazione di impatto ambientale (Via) dell’area A1, circa 27 ettari dei 55 totali che fino al 1999 erano di proprietà dell’ex Acna. A 20 anni di distanza, però, il Governo ha provveduto a commissionare uno studio di impatto ambientale effettuato da Eni Syndial, con cui l’ente ha fornito una Valutazione di impatto ambientale con esito positivo ufficializzata con il D.M. 5.4.2020 dello scorso 6 aprile.
L’associazione per la rinascita della Valle Bormida ha sede a Dego, in provincia di Savona, e dal 1987 è impegnata in una lunga lotta per la tutela del territorio e la salute dei cittadini. Lo scorso settembre, l’associazione ha inviato «documentazione informativa ai due Ministri interessati, Sergio Costa e Dario Franceschini, fimatari del DM citato, per ottenere una vera bonifica che risolva alla radice un problema ereditato da oltre cento anni di attività industriale selvaggia, oltre al costante e doveroso potere di controllo e monitoraggio dell’intero S.I.N. coinvolgendo anche i cittadini e le istituzioni locali della intera Val Bormida».
Secondo il comitato formato dai cittadini della Val Bormida, infatti, «sussistono incertezze e contraddizioni nelle relazioni e valutazioni tecniche del progetto di messa in sicurezza permanente (M.I.S.P.), quindi non bonifica, per cui l’Unione Europea ha immediatamente archiviato (Luglio 2020), dopo undici anni, la procedura di infrazione nei confronti del nostro Governo. Per questo l’Associazione ritiene, in base al principio della massima precauzione e di opportune riflessioni, di sottoporre ai due Ministri firmatari del citato D.M. Sergio Costa e Dario Franceschini le nostre documentate perplessità illustrate in un testo di nove pagine supportato da 22 allegati».
Nel documento inviato, l’associazione evidenzia contraddizioni nella documentazione, criticità relative allo strato di marna impermeabile «che dovrebbe “naturalmente” impedire la fuoriuscita delle sostanze chimiche tossiche abbancate e del relativo percolato», l’incompleta tenuta dei muri perimetrali, «ben documentata dal recente forte inquinamento rilevato in occasione di controlli analitici eseguiti sui piezometri della cosiddetta “Area Merlo”, posta all’esterno dei muri stessi», il comprovato rischio idraulico dell’intero S.I.N. «e quindi anche dell’Area A1», la presenza di P.C.B. (Policlorobifenili) «collegata direttamente alla formazione di Diossine, come dimostrato, sia nel percolato, sia nel terreno» e, infine, «l’incognita, soprattutto futura, della manutenzione e dei controlli sia dell’Area A1 sia dell’intero S.I.N.».
La soluzione avallata dal D.M. di messa in sicurezza permanente dell’Area A1, secondo l’associazione per la rinascita della Valle Bormida, quindi, «di permanente ha solo il rischio di disastro ambientale per l’intera valle, che ricadrà inesorabilmente anche sulle future generazioni».