Storia di Mario, abile per il lavoro con il figlio positivo
«Il medico del lavoro ha invece detto che per lui sono guarito e quindi abile al lavoro»
ACQUI TERME – Col passare del tempo cominciano a scadere le prime quarantene e c’è chi dovrebbe tornare al posto di lavoro. Facile a parole. La burocrazia della pandemia ha reso fumoso e complesso anche il limite (che dovrebbe essere basato su nozioni scientifiche) tra lo stato di malato e quello di guarito.
«Sono stato male a fine marzo – racconta Mario, un operaio dell’Acquese – Su direttive del Sisp e del medico di famiglia ho cominciato la cura con gli antibiotici ed il farmaco sperimentale. Nessuno è venuto a visitarmi, ho solo descritto i sintomi via telefono. A metà aprile ho fatto il primo tampone, negativo; la settimana scorsa il secondo, ancora negativo».
Guarito? Teoricamente sì, almeno secondo la tempistica di ‘maturazione’ del Covid-19; però considerato che nessuno ha visitato il malato, per scongiurare ogni dubbio bisognerebbe fare il test sierologico. Il Sisp, invece, non lo fa fare.
Nella storia di Mario c’è un’ulteriore incognita: il figlio minore, che ha fatto il primo tampone insieme al papà, è risultato positivo ed ancora non è stato chiamato per fare la seconda prova. Quindi cosa fare, si torna a lavoro? «Il medico di famiglia e quello del Sisp hanno detto di no, per una questione di precauzione – continua l’operaio – il medico del lavoro ha invece detto che per lui sono guarito e quindi abile al lavoro».
Il dubbio è: conservare il posto di lavoro e potenzialmente contagiare tutti, o rischiare di perderlo per senso civico?