Cura anti-Covid ‘su fiducia’: la storia di Monica e della sua famiglia
ACQUI TERME – La storia di Monica ha del surreale eppure, nella sua evoluzione, è molto comune. «Mio marito Riccardo lavora in una casa di cura come manutentore, a contatto con i malati in mille riparazioni – racconta – Quando sono scoppiati i primi focolai nella struttura era considerato un lavoratore di ‘serie B’: i presidi di sicurezza erano assicurati solo al personale sanitario».
Questa prassi si è dimostrata deleteria: a contagiarsi per primi, infatti, sono i dipendenti ‘ordinari’. A metà marzo il primo paziente conclamato colpito dal Covid-19 e la ditta comincia la distribuzione a tutti (invero centellinata) di mascherine e guanti. Su pressione di Monica, il marito manutentore chiede e ottiene l’orario ridotto, ma questo non basta: il 31 marzo Riccardo comincia a stare male. Due giorni dopo anche Monica e Diana la bambina di 6 anni.
«Informata la struttura, siamo stati tempestati di chiamate di conoscenti – prosegue – Una cortesia interessata per valutare il proprio rischio o la furbizia del dipendente assenteista. Intanto la febbre saliva, inutile la tachipirina. Seguendo le indicazioni di una collega già positiva al tampone, abbiamo chiamato la guardia medica chiedendo di farlo anche noi. No, lo avrebbero fatto solo a pazienti con più di 39 di febbre e col 118. Informazione poi smentita dal Centro Covid che, contattato, ci ha intimato di isolare mio marito (fosse facile in una casa di 70 metri quadri!) e ci ha censito, assicurando che a breve avremmo fatto il tampone».
Monica ci ha raccontato i sintomi della malattia. «Mia figlia inizialmente lamentava solo un forte mal di denti – spiega – Non ne aveva mai sofferto. Io mi sentivo strana, solo un po’ di mal di testa. Il giorno dopo eravamo tutti distrutti. Dolori lancinanti in ogni dove, un male che non si riesce a gestire. Febbre a 38.5, 39».
I giorni passano e nessun medico si fa vedere. Il Centro Covid, il pediatra e il medico di famiglia, contattati telefonicamente, prescrivono, sulla fiducia, la terapia da seguire: azitromicina, cortisone e un farmaco sperimentale (per cui firmano un consenso informato), il Plaquenil. Paracetamolo per la bimba.
«Ci hanno inviato via mail un documento nel quale era scritto che giornalmente saremmo stati contattati per avere aggiornamenti sul decorso della malattia. In sei giorni nessuno si è fatto vivo – l’amara constatazione – Solo l’altro ieri, forse su pressione del nostro medico, siamo stati raggiunti da un mezzo con un giovane dottore a bordo».
Vi ha visitato? Ha fatto il tampone? «Macché: misurazione febbre, saturazione e tanti ‘state tranquilli’. Un solo avvertimento: ‘se da sdraiati avete difficoltà a respirare, correte in ospedale’. Ora sì che siamo tranquilli».