Incontro con Rinaldo Carrel, esploratore tra Polo Nord ed Everest
Carrel, oggi 68enne, è uno dei pochi uomini ad aver raggiunto il Polo Nord e conquistato l’Everest.
ACQUI TERME – Mercoledì 12 alle 21, l’ex Kaimano ospiterà un incontro organizzato dal Cai acquese. Protagonista dell’evento, Rinaldo Carrel, guida del Cervino oggi sessantottenne ed in pensione. Carrel è un italiano straordinario, uno dei pochi uomini ad aver raggiunto il Polo Nord e conquistato l’Everest.
Una tradizione alpinistica tramandata dal padre, Marcello, già a fianco dell’esploratore Guido Monzino, in Groenlandia, Africa e Ande. Diventato anziano, il testimone è passato al figlio verso obiettivi sempre più alti. «Era il 1971, avevo 19 anni quando ho partecipato alla spedizione al Polo Nord – racconta Carrel – Non c’era la tecnologia di oggi e si era in piena Guerra Fredda; la calotta polare era divisa tra americani e sovietici. Ottenere i permessi era l’impresa nell’impresa. Partendo dal nord del Canada abbiamo attraversato con slitte trainate da cani l’Oceano Artico puntando verso i 90 gradi di latitudine nord». La spedizione, con Mirko Minuzzo, altra guida del Cervino, ha ricalcato la triste rotta del Duca degli Abruzzi; ancora oggi quella di Monzino e compagni è un’impresa unica, mai più ripetuta. «La parte difficile è stata l’adattamento – spiega Carrel – Per partire, abbiamo aspettato con gli Inuit che la lunga notte diventasse il lungo giorno. Adattarsi a quelle condizioni di luce, alle temperature, dormendo in tende senza fondo non è stato facile. Ma l’uomo è un animale che si adatta a tutto. Il rischio era alto, ma l’esperienza era l’occasione unica di guardare il mondo con occhi diversi».
Due anni di vita ‘normale’, il servizio militare nemmeno a farlo a posta negli Alpini, e poi di nuovo all’avventura: «Monzino era riuscito ad ottenere il permesso e così nel 1973 abbiamo preparato la scalata all’Everest –continua la guida – Tale era l’importanza nazionale che la spedizione era composta da rappresentanti delle Forze Armate». Venticinque alpinisti, sostenuti dal meglio della logistica militare italiana interessata a sperimentare uomini e mezzi ad altitudini mai raggiunte prima. «Eravamo esploratori ed esplorati – scherza – L’università di Fisiologia di Milano ha studiato come reagiva il nostro corpo a quelle condizioni. La sopravvivenza ad oltre 8mila metri è stata la vera sfida ed io e Minuzzo, bloccati dal maltempo, ci siamo rimasti per oltre una settimana. La scarsità di ossigeno aumenta la fatica, demoralizza, non rende lucidi. Eravamo lì per mollare, poi un giorno il cielo si è aperto e ci ha mostrato la vetta». Di lì l’ascesa difficilissima con la percezione del pericolo mortale ad ogni passo. «Poi arrivi ad un punto dove vedi la cresta scendere e non c’è più niente da salire. Lì sei sul tetto del mondo. Ti lasci andare alla commozione. Ce l’hai fatta. Ma avevamo poco da festeggiare, bisognava esser presenti a se stessi perché cominciava la parte più difficile, la discesa, quella che miete più vittime».
In tutte queste esperienze, spedizioni ai confini del mondo, scalate oltre i limiti umani, qual è stato il momento più difficile? Carrel non ci pensa un attimo: «Tornare alla normalità della vita quotidiana»