Fobia coronavirus ad Acqui? No ma..
«Picco nelle richieste di mascherine, sono andate a rube» dice una farmacista..
ACQUI TERME Sono l’ultima spiaggia nei momenti dello shopping disperato. A Natale, Pasqua e Capodanno sono aperti ad orari impensabili, pronti ad offrire la qualsiasi, dai ceri con l’immagine di Papa Francesco, a palloncini e candeline per le feste di compleanno (dimenticate), ai capi di abbigliamento all’ultimo grido (rivisitati dal gusto orientale). L’imprenditoria Made in China è ormai una presenza consolidata dell’offerta acquese. Ai ristoranti cinesi (o giapponesi sempre in mano agli abili cuochi figli di Pechino), si sono affiancati, nel tempo, supermercati generalisti che offrono quanto prodotto nella Madrepatria (praticamente tutto); oggi gli investitori dagli occhi a mandarla si cimentano in attività tradizionali legati al life style italiano gestendo bar o laboratori artigianali come sartorie o saloni da parrucchieri. L’integrazione con la popolazione staziella è in fieri. I figli dei nuovi cittadini frequentano le scuole acquesi, parlano perfettamente italiano con un curioso accento locale.
Come ha influito sulla loro vita la notizia della diffusione del Coronavirus? «Nessuna crisi – ci ha risposto Lin (che proviene da una città vicino a Wuan), responsabile di un esercizio alle porte di Acqui – Continuano a venire i soliti clienti senza alcun problema. Anzi, si preoccupano di come vanno le cose in Cina e ci chiedono come stanno le nostre famiglie di origine. Anche lì la situazione è sotto controllo».
Stesso savoir-fair ha dimostrato un ristoratore cinese, Francesco (che, secondo un’usanza curiosa, ha scelto di adottare un nuovo nome italiano) che non denuncia alcuna flessione delle presenze nel suo locale. «E’ un problema che c’è in Cina, non da noi – ha risposto – A noi non è diminuita clientela. Tutto nella norma». Eppure è sabato sera e il locale non è gremito, come al solito.
Registriamo però un dato interessante. Nelle farmacie, parafarmacie e negozi dotati di un angolo sanitario da qualche giorno sono terminate le mascherine. «Non ne hanno più nemmeno i nostri fornitori, testimonianza che c’è stato un picco della richiesta – ci ha spiegato una farmacista – Addirittura sono andate a ruba quelle per le polveri, incapaci di scongiurare un eventuale contagio. Normalmente le vendiamo d’estate a chi da un’imbiancata alle pareti». Ci riferisce la dottoressa che da giorni la clientela le rivolge domande sul Coronavirus e sulla possibilità di un eventuale contagio. «C’è una preoccupazione alimentata da un’informazione sensazionalista – ha raccontato – Prima si lancia l’allarme e poi si cerca di ridimensionare la preoccuapazione generale. Siamo in inverno ed il raffreddore è una costante, questo non aiuta». Insomma tra la gente serpeggia un composto sospetto. Fossimo in Giappone saremmo educati ad indossare la mascherina (quella giusta), non per proteggerci dal morbo degli altri ma per evitare di contagiare il prossimo.