“Grazie a Dio”: il nuovo Ozon tra cronaca e finzione
CINEMA – A mezza strada fra il silenzio di Dio e quello dell’uomo: il nuovo film di François Ozon, uno dei maggiori registi europei contemporanei (tra i molteplici titoli, ricordiamo Sotto la sabbia, 2000, 8 donne e un mistero, 2002, Frantz, 2016), oscilla continuamente entro questi due assunti, facendo propria la scelta coraggiosa di raccontare un doloroso e delicato caso di cronaca che vede coinvolta la Chiesa francese con le modalità del racconto di finzione.
Da questo tentativo scaturisce un’opera intensa, scabra (come nello stile di Ozon), diretta, sia per immagini che per situazioni e dialoghi, originale nel suo dar forma a un ibrido che mescola il dato reale con la rappresentazione (non a caso la pellicola – che ha vinto l’Orso d’Argento, Gran premio della giuria al Festival di Berlino 2019 – prende a modello, in quanto a struttura, Il caso Spotlight diretto da Tom McCarthy, premiato con l’Oscar 2016 come miglior film e miglior sceneggiatura originale).
In tale prospettiva anche il cast composto da Ozon, che originariamente intendeva utilizzare la formula del semplice documentario, risulta alquanto azzeccato, a partire da Melvil Poupaud nel ruolo di Alexandre (figura ispirata a una persona reale); professionista affermato, di estrazione cattolica e padre di cinque figli, il quale nel 2015 casualmente viene a sapere che padre Bernard Preynat della diocesi di Lione – da cui aveva subito molestie da bambino – è ancora preposto alla formazione religiosa dei piccoli.
Nel riattivarsi doloroso della memoria, Alexandre decide dapprima di scrivere alla curia (carteggio che, nel film, viene rigorosamente documentato attraverso l’uso di una voce over), poi – ricevuto in risposta un assordante silenzio – coinvolge gli organi giudiziari locali, denunciando le antiche violenze e fondando l’associazione “La parola liberata”.
A soli 45 minuti dall’inizio del film, dunque, Alexandre esce di scena, per lasciare spazio e voce, in un’ideale staffetta, agli altri protagonisti e vittime di questa drammatica vicenda: il costruttore François (Denis Ménochet), il medico Gilles (Éric Caravaca) e – ultimo in ordine di tempo ma non meno fondamentale per il raccordo conclusivo della storia – Emmanuel (Swann Arlaud), di differenti origini sociali rispetto ai primi due e anche colui che ha subito danni maggiori, sia fisici che psicologici, dalle violenze del prelato.
Il risultato è la condanna in primo grado, nel marzo del 2019, del cardinale Barbarin, per omessa denuncia di maltrattamenti nei due anni trascorsi dall’avvio della causa legale su iniziativa di Alexandre, oltre all’innalzamento a trent’anni del limite della prescrizione per i reati denunciati da “La parola liberata”: padre Preynat, invece, verrà destituito dal suo ruolo soltanto all’uscita della pellicola di Ozon, a indicare il lunghissimo processo di valutazione giuridica e morale cui vengono sottoposti i casi di questo genere.
In questo senso, la parola ha ancora bisogno di un percorso irto e complicato per essere totalmente libera di esprimersi e di risuonare, nella collettività come nelle coscienze individuali.
E mentre, in una fra le scene più toccanti del film, Emmanuel nega a padre Preynat il perdono laico, che non può – per forza di cose – possedere il medesimo statuto di quello religioso, il “Grazie a Dio del titolo”, non a caso, si collega a un duplice risvolto semantico: da un lato il riferimento è a una frase pronunciata di sfuggita dal cardinale Barbarin, nel corso di una conferenza stampa: «Grazie a Dio, i fatti a cui si fa riferimento sono tutti prescritti»; dall’altro, invece, all’opposto, c’è la battuta: «Grazie a voi tutto ciò è stato possibile», ringraziamento reale rivolto ai membri di “La parola liberata” per la loro coraggiosa azione.
Fra questi due poli, in contrapposizione eppur complementari, si snoda – come dicevamo all’inizio – l’arco narrativo del film.
«I fatti si sono svolti così come li vedete sullo schermo – spiega Francois Ozon. […] Non volevo fare un film sul cattolicesimo o sulla pedofilia, volevo raccontare una storia di fragilità maschile. Ho realizzato spesso film su donne forti e per me era importante ribaltare il dogma per cui l’uomo forte dovesse essere protagonista di film d’azione, mentre alle donne spetta il regno dei sentimenti. Ho scoperto il sito, “La parola liberata”, ho letto le testimonianze e mi hanno toccato moltissimo. In quel momento ho pensato di raccontare la storia di queste persone. […] Ci vuole coraggio a esprimere il proprio vissuto traumatico, i danni sono ingenti. Ci si confronta con il senso di colpa di chi non ti ha protetto, con il distacco dei fratelli. Ammiro le persone che hanno subito violenze e che trovano il coraggio di parlarne e portarle alla luce».
Grazie a Dio (Grâce à Dieu)
Regia: François Ozon
Origine: Francia, 2019, 137′
Sceneggiatura: François Ozon
Fotografia: Manuel Dacosse
Montaggio: Laure Gardette
Musica: Sacha Galperine, Evgueni Galperine
Cast: Hélène Vincent, Frédéric Pierrot, François Marthouret, François Chattot, Eric Caravaca, Denis Ménochet, Bernard Verley, Aurélia Petit, Josiane Balasko, Melvil Poupaud, Swann Arlaud
Produzione: Mandarin Films
Distribuzione: Academy Two