Penne nere dell’Acquese, tra reduci e deportati: la storia di Lodovico Portesine
Storia di un alpino dalla tempra non comune, Lodovico Portesine, classe 1918, Medaglia di Bronzo al Valore Militare
ACQUI TERME – Gli Alpini della sezione acquese sono un’istituzione per la comunità bollente. Volontari in tutte le manifestazioni organizzate dal comune, forniscono assistenza agli altri enti del terzo settore offrendo logistica e know how organizzativo. Spirito di abnegazione che le penne nere nostrane hanno in comune con l’uomo al quale la sezione è dedicata, il tenente colonnello ‘Luigi Pettinati’, cavatorese classe 1864, Medaglia d’oro al Valore Militare, eroe della prima Guerra Mondiale e conquistatore del Monte Nero.
Tra le fila degli Alpini acquesi si contano ancora tanti reduci: Luigi Mario Cazzola (classe 1919 di Montechiaro d’Acqui), Pietro Gillardo (1922 di Ricaldone), Martino Farinetti (1922, di Orsara). Raccontiamo però la storia di un alpino dalla tempra non comune, Lodovico Portesine, classe 1918 di Ciglione frazione di Ponzone, Medaglia di Bronzo al Valore Militare.
«Un bel giorno del 1942 arrivò l’ordine di partire per la Russia – racconta – La tradotta l’abbiamo presa a Ceva e il 7 agosto 1942 siamo arrivati in territorio russo, a Uspeskaia. In Russia i binari erano più grandi dei nostri, per cui ci siamo fermati e dal finestrino del treno vedevamo tante ragazze polacche ebree che lavoravano lungo i binari. Erano giovani e magre. Si rivolgevano a noi gesticolando e si capiva che avevano fame e chiedevano cibo. Impietosito, diedi loro mezza pagnotta. Non l’avessi mai fatto, per poco i tedeschi non mi spararono». La disfatta dell’Armir sul Don e la tragica ritirata hanno apposto una medaglia sul petto di Portesine, ma segnato profondamente la sua vita. «Il 21 e 22 gennaio ’43 ci fu il primo attacco dei carri armati russi e iniziò il massacro del battaglione – ricorda – una ventina di carri e noi impotenti con i fucili ghiacciati. Schiacciavano i soldati italiani come fossero formiche. Per fortuna quello che avevo di fronte e che stava per stritolarmi fu colpito nei cingoli dalle nostre armi e si fermò improvvisamente, anche se continuava a sparare. Io e un altro alpino saltammo su per cercare di bloccarlo e con un pezzo di ferro raccolto per terra riuscii a rendere inoffensivo il cannoncino». Questo gli valse la Medaglia di bronzo.
La capitolazione ha condannato i prigionieri a un ‘viaggio della morte’. Rinchiusi per un mese in carri merci senza cibo né acqua. «Bevevamo la condensa o la neve raccolta con un barattolo – narra con lucidità e commozione – I russi aprivano il vagone ogni 4/5 giorni solo per tirare fuori i cadaveri». Dei novanta prigionieri stipati alla stazione di partenza, solo la metà è arrivato a destinazione. Tanti altri hanno perso la vita nel campo di lavoro in Finlandia stremati da freddo, fatica, malnutrizione e malattie. Portesine, prima boscaiolo e poi aiuto cuoco, si salvo anche questa volta e fece ritorno a Ponzone nell’ottobre del 1945. Per l’esercito era disperso.