Al cinema ‘Il traditore’ di Marco Bellocchio
Inquadrature contrapposte, campi e controcampi per raccontare lenormità tragica, la sconvolgente ed assurda empietà di Cosa Nostra, la banalità di un male a cui ferocemente si appartiene, per nascita o per scelta, come nel caso di Buscetta
Inquadrature contrapposte, campi e controcampi per raccontare l?enormità tragica, la sconvolgente ed assurda empietà di Cosa Nostra, la banalità di un male a cui ferocemente si appartiene, per nascita o per scelta, come nel caso di Buscetta
Traditore per entrambi i versi, in un caso e nell’altro: il film di Marco Bellocchio – presentato a Cannes in questi giorni, accolto con tredici minuti di applausi e in lizza per la Palma d’oro – non fa sconti, non mette in campo un moralismo preconfezionato, si muove tra realismo e visionarietà della rappresentazione (com’è nello stile di Bellocchio) per scavare a fondo nella personalità magmatica di Tommaso Buscetta, il pentito per eccellenza, figura enigmatica e inquietante.
Il regista lo rappresenta sforzandosi di renderlo così com’era (o, meglio, come si “mostrava” agli occhi dell’opinione pubblica, dei giudici, di amici e nemici, proprio in quanto espressione di un potere occulto, sfuggente): frutto del suo ambiente, raffinato e rozzo, generoso e perverso, coacervo di contraddizioni.
Non un malvagio dal fascino romantico, un mito in negativo, né – all’opposto – la personificazione del Male, ma semplicemente un uomo che ha incarnato l’altra faccia dell’umano, parte dei tentacoli di una piovra che ancor oggi si stenta a capire nella sua struttura più nascosta e radicata.
“Mi interessa il personaggio di Tommaso Buscetta perché è un traditore. Il traditore potrebbe essere il titolo del film. Ma in verità chi ha veramente tradito i principi ‘sacri’ di Cosa Nostra non è stato Tommaso Buscetta, ma Totò Riina e i Corleonesi. Come si vede due modi opposti di tradire. Nella storia tradire non è sempre un’infamia. Può essere una scelta eroica. I rivoluzionari, ribellandosi all’ingiustizia anche a costo della vita, hanno tradito chi li opprimeva e voleva tenerli in schiavitù”, spiega l’ottantenne cineasta piacentino, che ha raccontato la storia italiana recente e quella più lontana nel tempo in film come Buongiorno, notte, L’ora di religione e Vincere, scrivendo la sceneggiatura di quest’ultimo lavoro insieme a Valia Santella, Ludovica Rampoldi e Francesco Piccolo.
“Non sapevo molto di Buscetta – prosegue Bellocchio – non più di quello che si legge sui giornali quando ho iniziato a lavorare a questo film, poi ho letto libri, incontrato persone che lo avevano conosciuto. La mia preoccupazione era di fare un film non convenzionale, ma semplice, popolare: era necessario rappresentare i tanti delitti della mafia, ma con un proprio stile, una propria forma che io ho ricercato nella dimensione teatrale. Il Maxiprocesso è in assoluto un luogo teatrale dove lo spettacolo si gioca tra i mafiosi che volevano che il grande processo fallisse e Buscetta capace di controbattere nel confronto. Quando Buscetta fa il confronto in aula con Calò è come assistere alla performance di due vecchi attori”.
Il traditore è anche una storia di caratteri (e di corpi, che stanno fianco a fianco oppure si incontrano e oppongono in spazi diversi: dall’enormità spersonalizzante dell’aula bunker dell’Ucciardone al chiuso di una cella, dell’ufficio di un magistrato) in rotta di collisione fra loro.
Tommaso Buscetta (Pierfrancesco Favino, superlativo nel calarsi addosso la fisicità del personaggio) e l’ex amico Pippo Calò (Fabrizio Ferracane) e il giudice Falcone (Fausto Russo Alesi) e il collaboratore di giustizia ulteriore, Totuccio Contorno (Luigi Lo Cascio, anche lui straordinario nel tratteggiare il pentito siciliano, a diciannove anni dall’interpretazione di Peppino Impastato ne I cento passi di Marco Tullio Giordana): inquadrature contrapposte, campi e controcampi per raccontare l’enormità tragica, la sconvolgente ed assurda empietà di Cosa Nostra, la banalità di un male a cui ferocemente si appartiene, per nascita o per scelta, come nel caso di Buscetta.
“Nell’interpretarlo mi sono sempre domandato a cosa credere e a cosa non credere di quello che via via sapevo di lui – commenta Pierfrancesco Favino – Al romanticismo, all’amore per la famiglia, all’idealismo? Sono anche i miei valori, ma certo non si è boss per niente e lui non era un figlio della mafia, ma ha scelto a 17 anni di entrarci sapendo che era la scelta per tutta la vita, dunque rendere questo lato è stato la mia vera sfida”.
Regia: Marco Bellocchio
Cast: Pierfrancesco Favino, Luigi Lo Cascio, Fausto Russo Alesi, Maria Fernanda Cândido, Bebo Storti, Alessio Praticò, Marco Gambino, Goffredo Maria Bruno, Federica Butera, Aurora Peres, Fabrizio Ferracane
Sceneggiatura: Marco Bellocchio, Valia Santella, Ludovica Rampoldi, Francesco Piccolo
Fotografia: Vladan Radovic
Musiche: Nicola Piovani
Montaggio: Francesca Calvelli
Scenografia: Andrea Castorina
Costumi: Daria Calvelli
Durata: 135′
Produzione: Beppe Caschetto, Simone Gattoni, Fabiano Gullane, Caio Gullane, Michael Weber, Viola Fügen, Alexandra Henochsberg per Ibc Movie, Kavac, con Rai Cinema; in coproduzione con Ad Vitam Production, Match Factory Productions.