Andrea Calvo, il cantautore ‘vagabondo’ e le sue “pop songs con accordi in minore”
Grand Drifter è Andrea Calvo (voce, chitarra, pianoforte) e 'Lost spring songs' è il suo primo progetto solista uscito il 12 novembre per Sciopero Records - Self -The Orchard. AlessandriaNews ha incontrato il cantautore acquese per parlare della sua "raccolta di canzoni collocate fuori dal tempo"
Grand Drifter è Andrea Calvo (voce, chitarra, pianoforte) e 'Lost spring songs' è il suo primo progetto solista uscito il 12 novembre per Sciopero Records - Self -The Orchard. AlessandriaNews ha incontrato il cantautore acquese per parlare della sua "raccolta di canzoni collocate fuori dal tempo"
Prima le presentazioni: ‘Grand drifter’ si può tradurre come ‘grande vagabondo’. Perché hai scelto questo nome d’arte?
Il nome è sempre importante, ma in fondo Grand Drifter non ha particolari significati nascosti, o legami con contenuti musicali misteriosi da rivelare. Stavo leggendo un libro sulla ‘beat generation’, dove in un elenco si descrivevano le varie tipologie di vagabondi americani. Tutte piuttosto estranee e pittoresche, tranne ‘drifter’, inteso come lo straniero (in genere sempre di poche parole) che arriva in un posto, ci sta per un po’ e poi se ne va in silenzio, così come era venuto. In effetti sì, si può intendere anche come ‘grande vagabondo’. Vagabondo ma con un certo stile, mi sembra una bella immagine. La cosa affascinante, però, è che a volte i nomi lasciano volutamente uno spazio vuoto intorno al loro significato, uno spazio che ognuno può riempire a piacimento con la propria fantasia e le libere associazioni. E’ bello quando succede. In fondo mi sembrava che ‘Grand Drifter’ ‘suonasse’ bene in quache modo, tutto qui.
‘Lost spring songs’, ovvero ‘Canzoni perdute di primavera’. La primavera è una stagione di rinascita ma allo stesso interlocutoria perché a metà tra il gelo invernale e il caldo estivo. Una sorta di richiamo a quel senso di instabilità tra stati d’animo diversi in qualche modo ben rappresentato dall’equilibrista raffigurato sulla copertina del tuo album. Solo suggestioni oppure sensazioni ed emozioni che effettivamente hai cercato di trasmettere attraverso i tuoi testi e la tua musica?
Mi piacciono i momenti intermedi, di passaggio, le cose osservate durante un cambiamento. Proprio come dici tu, un po’ come l’equilibrista in copertina, che cerca ostinatamente una propria stabilità, e lo fa continuando il suo percorso, passo dopo passo. Può essere chiunque di noi. E direi proprio di sì, è un po’ quello che cercato di trasmettere. Il tutto richiama un certo sentire, e contribuisce alla costruzione di un ambiente emotivo particolare in cui mi riconosco personalmente, che tiene insieme quest’immaginario con i testi e le musiche. Mi piace definire questa raccolta di canzoni “Pop songs con accordi in minore”.
“Spesso ho trovato ispirazione immaginando che le mie canzoni fossero prese da un disco inedito dimenticato e riscoperto a posteriori” hai dichiarato parlando del tuo album. In effetti ascoltandolo con attenzione questa è un po’ la sensazione che si percepisce. Quasi naturale chiederti se ci sono particolari cantautori del passato o più contemporanei che in qualche modo ti hanno influenzato…
Mi fa piacere che si percepisca qualcosa di profondo, un senso di appartenenza o un filo invisibile che colleghi il mio disco alle musiche che ho amato e amo. Per me è importante. Anche se ascolto musica in maniera onnivora, torno sempre su certi ascolti fondamentali, classici, se vuoi. Lì stanno quelle che per me sono le vere influenze, quelle che mi spingono a riprendere in mano una chitarra e un quaderno, quelle dalle quali mi faccio rapire volentieri per l’ennesima volta. Sugli artisti contemporanei magari ho un approccio più distaccato, riesco a essere meno coinvolto emotivamente. Come posso dire: ascolto attentamente molto e di tutto, ma poi ho bisogno di rievocare un ‘Grande Immaginario’ che mi faccia sentire coinvolto. Per questo se dovessi dirti dei nomi, ti direi qualcuno comunque del passato! Oltre ai Beatles (e tutto l’universo a loro collegato), Alex Chilton o Elliott Smith, per esempio. Oppure ti direi un altro artista – purtroppo poco conosciuto – che cadde con molto piacere un giorno dentro la copertina di un disco di Brian Wilson, o dei Beatles: si chiamava Epic Soundtracks.
Il tuo lo si potrebbe definire un cantautorato quasi sussurrato. In questi tempi chiassosi e caotici quanto è difficile per un artista trasmettere emozioni e sensazioni in maniera efficace pur muovendosi, per così dire, sottotraccia?
E’ molto interessante questa considerazione sulla voce, in parte mi ci riconosco, grazie! Visto che la voce è – o dovrebbe essere – il nostro specchio, forse corrisponde a quello che sono, ad un’attitudine prettamente emozionale, se vuoi. E in effetti, come dici tu, per quelli come me è molto difficile oggi. Anzi, difficilissimo. Aggiungo: ovunque e per chiunque. Sono tempi superficiali, imprecisi e anche violenti. Io mi riconosco nell’opposto di queste caratteristiche, e in maniera naturale tutto poi confluisce in musica e canzoni. Riuscire a farlo, a queste condizioni, in questo contesto, è già un grande traguardo per me, un bellissimo equilibrio raggiunto.
Tu sei di Acqui Terme, fino a che punto il posto ed il territorio in cui sei cresciuto hanno ispirato il tuo percorso creativo?
Pur guardando al mondo britannico…beh, direi tantissimo! Ad Acqui c’è sempre stata una scena musicale meravigliosa e ricca, da sempre: qualcosa che in Italia difficilmente ritrovi in ambiti urbani di queste dimensioni. Il mio percorso creativo nella mia città ha incontrato i dischi dei Knot Toulouse di Gianrico Bezzato, la fortissima influenza di quella scrittura “in inglese”, per me preziosa. E, come una magica chiusura del cerchio, la sezione ritmica dei Knot Toulouse ha poi suonato su “Lost Spring Songs”. Ma soprattutto per me sono stati fondamentali l’aiuto e l’esperienza di Paolo Enrico Archetti Maestri degli Yo Yo Mundi, amico fraterno da sempre, musicista e compositore che non ha certo bisogno di presentazioni. Davvero, senza di lui il disco non ci sarebbe.
I tuoi testi sono tutti in lingua inglese? Come mai questa scelta stilistica?
Sì, i testi sono tutti in lingua inglese, anche se non parlerei di “scelta” stilistica vera e propria, quanto piuttosto di in un ‘ambiente’ in cui ho trovato familiarità. Credo che derivi prima di tutto da un forte imprinting di ascolti, e da qui si finisce con il riconoscersi più in un mondo che in un altro, in maniera abbastanza naturale.
I prossimi appuntamenti in calendario?
Da qui e fino a inizio 2019 ci saranno presentazioni in radio e librerie, con piccoli showcase e live set acustici, alternandomi alla chitarra o al pianoforte. Sulla mia pagina Facebook (facebook.com/granddrifter) si possono trovare tutti gli appuntamenti in costante aggiornamento quotidiano, le novità, i video, i live e tutto quanto!