A Star is Born
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Barbara Rossi - redazione@alessandrianews.it  
20 Ottobre 2018
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A Star is Born

Il film, tra i più visti nelle sale italiane negli ultimi giorni, è fondamentalmente un melodramma che, nonostante l’impegno e la bravura dei suoi interpreti, non si discosta dai cliché del genere, un po’ convenzionale sia a livello narrativo che stilistico

Il film, tra i più visti nelle sale italiane negli ultimi giorni, è fondamentalmente un melodramma che, nonostante l?impegno e la bravura dei suoi interpreti, non si discosta dai cliché del genere, un po? convenzionale sia a livello narrativo che stilistico

CINEMA – È una vecchia storia, quella raccontata nel nuovo film dell’attore-cantante-neoregista Bradley Cooper, pluricandidato all’Oscar, tra il 2012 e il 2014, rispettivamente per Il lato positivo – Silver Linings Playbook, American Hustle – L’apparenza inganna e il controverso American Sniper di Clint Eastwood, nominato anche come miglior film. Presentato in anteprima mondiale, fuori concorso, alla 75esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, A Star is Born si propone come l’ennesimo remake, il terzo, rispetto alla versione originaria di William Wellman con Janet Gaynor e Fredric March, datata 1937, e a quelle successive (di George Cukor con Judy Garland e James Mason, 1954, e di Frank Pierson con Barbra Streisand e Kris Kristofferson, 1976).

Con uno sguardo maggiormente orientato verso il film di Pierson – anche a livello di costruzione divistica dei personaggi-attori, con Cooper che adotta a modello la recitazione muscolare ma febbrilmente sensibile di Kristofferson e Stefani Joanne Angelina Germanotta (in arte Lady Gaga) emula, a livello fisico e vocale, della Streisand – la pellicola ripropone il vecchio tema del rapporto tra un giovane, inesperto e fresco talento e il suo Pigmalione, saggio, maturo, avvezzo agli usi e abusi della vita e dell’arte; e della relazione non soltanto artistica ma anche personale, privata, che si viene a creare fra una ragazza, astro nascente della musica, e un uomo, un divo, una star del firmamento musicale, “bello di fama e di sventura”, gravato dai pesi del passato.

A corollario, non meno importanti, anche i temi della costruzione dell’identità, collettiva e individuale, dell’essere e dell’apparire, della resa dei conti finale con le proprie aspettative e “lo stato delle cose”, troppo spesso dissimile da sogni, desideri e ambizioni.

La narrazione dell’incontro casuale tra Jackson Maine, vero e proprio mito del genere country-rock in fase declinante, e Ally, cameriera squattrinata dalla voce potente, è orchestrata seguendo i classici dettami del romance cinematografico, tra scene archetipiche per il genere – l’imbarazzo dei momenti iniziali, la timidezza e l’incredulità della ragazza, l’esibizione del fascino seduttivo ma anche già parzialmente smitizzato della star – e un montaggio alternato che collega in rapida successione, evidenziandoli, i climax della vicenda artistico-amorosa: il palesarsi dei sentimenti, la componente erotica, le luci accecanti della ribalta, le discussioni, i contrasti nella coppia, dettati sia dallo scontro tra due parabole che disegnano traiettorie opposte, sia dagli eccessi etilici e farmaceutici di Jackson.

“Tanta gente ha talento, la differenza la fa se hai qualcosa da dire”, spiega Maine ad Ally; e, ancora, le raccomanda, poco prima del suo esordio discografico: “Devi essere te stessa, metterti a nudo, se vuoi durare”. Pare quasi un monito, questo, rivolto a Lady Gaga, la pop star dai 28 milioni di album venduti in dieci anni di carriera, la trasformista dall’immagine eccessiva e caricaturale tra le più premiate e pagate al mondo, dal 2010 posta dalla rivista “Forbes” tra i personaggi più carismatici del decennio.

Il film contribuisce a scoprire e porre in evidenza l’altra faccia di Lady Gaga: il suo volto altro, più semplice e autentico, privo di lustrini e orpelli di scena ma proprio per questo straordinariamente capace di trasmettere emozioni e stati d’animo, in un processo di progressiva spoliazione inverso a quello affrontato dal personaggio di Ally, che le somiglia molto nelle difficoltà che la cantante ha dovuto affrontare all’inizio della carriera, in lotta contro un mondo dello show-biz spietato e respingente.

“Togliti tutto il trucco, ti voglio naturale”, pare abbia suggerito Bradley Cooper a Lady Gaga nel corso del primo incontro: una scelta vincente, anche per la capacità del regista – supportato dalla sceneggiatura di Eric Roth – di far emergere l’ulteriore e meno finzionale carisma dell’artista. D’effetto le scene in cui i due si esibiscono insieme in interpretazioni filmate rigorosamente dal vivo, con grande resa scenica; efficace e intenso Sam Elliott, nei panni di Bobby Ritchie, il fratello-manager di Jackson.

The Star is Born, tra i film più visti nelle sale italiane negli ultimi giorni, è, fondamentalmente, un melodramma che – nonostante l’impegno e la bravura dei suoi interpreti – non si discosta dai cliché del genere, un po’ convenzionale sia a livello narrativo che stilistico.

È costruito per far leva sulle corde emotive dello spettatore, costringendolo ad abbandonarsi a reazioni primarie – gioia, tristezza, tenerezza, entusiasmo o malinconia – di fronte ai successi ma anche ai tormenti esistenziali di Ally e Jackson, al loro amore complicato: che ancora sortisca questo effetto, ultimo di una lunga serie di rifacimenti del medesimo soggetto, è un elemento degno di nota.

 

 

A Star is Born
Bradley Cooper
Usa, 2018, 135’

Sceneggiatura: Bradley Cooper, Will Fetters, Eric Roth
Fotografia: Matthew Libatique
Montaggio: Jay Cassidy
Scenografia: Ryan Watson

Cast: Bradley Cooper, Lady Gaga, Michael Harney, Sam Elliott, Bonnie Somerville, Greg Grunberg, Dave Chappelle, Rafi Gavron, Andrew Dice Clay, Willam Belli, Eddie Griffin, Rebecca Field, Anthony Ramos, Michael D. Roberts

Produzione: Metro-Goldwin-Mayer
Distribuzione: Warner Bros. Italia

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