I “ghiribizzi” di Trump
Il giornalista Paul Berman, parlando dei voltafaccia o dei repentini cambi di idee di Trump, li chiama ghiribizzi
Il giornalista Paul Berman, parlando dei voltafaccia o dei repentini cambi di idee di Trump, li chiama ghiribizzi
Eppure, dopo che avevo già inviato il mio articolo del 1° maggio, il 28 aprile, nell’inserto “IL” del Sole 24 Ore viene pubblicato ancora un articolo, di Paul Berman che, parlando dei voltafaccia o dei repentini cambi di idee di Trump, li chiama “ghiribizzi”. E riferendosi in particolare all’intervento in Siria dice: “Quindi, ecco: il presidente americano, che non è un grande leader, ciò nonostante ha fatto una buona cosa, qualche settimana fa. Nella sua dichiarata dottrina sono sempre state previste la collaborazione con Vladimir Putin e il ritiro dal Medio Oriente e da qualunque altro luogo. La sua dottrina prevedeva che gli sforzi dell’America fossero soltanto per l’America e per niente e nessun altro. Ha fatto campagna su questi principi. Li ha espressi in ogni forma possibile, con rozzezza e poi con rozzezza ancora maggiore. Eppure, dopo aver visto le riprese televisive dalla provincia di Idlib, in Siria, le emozioni del suo stesso cuore (sic!) hanno evidentemente avuto la meglio su di lui e un ghiribizzo lo ha spinto a reagire, e questa è stata una cosa più che buona”,
Quindi, anche dopo l’evidente sceneggiata militarmente inutile, c’è qualcuno che ancora la sostiene. Perché? Berman è un giornalista e scrittore sostenitore della teoria dell’”intervenzionismo liberale” per liberare le popolazioni oppresse e promuovere le libertà liberali e democratiche. Su queste basi aveva sostenuto l’intervento della Nato in Jugoslavia nel ’99, l’invasione dell’Afganistan nel 2001 e dell’Iraq nel 2003. Se aggiungiamo gli interventi in Libia, la primavera araba in Egitto e quel che succede in Siria abbiamo un’idea degli effetti disastrosi che queste teorie ed i loro sostenitori riescono a produrre.
Ma questi non si fermano. E così, alla vigilia del viaggio di Trump in Europa e Medio Oriente, l’assistente Segretario di Stato americano per il Medio Oriente, Stuart Jones, denuncia in una conferenza stampa che nel carcere-lager di Sednaya, vicino a Damasco, Bashar al Assad ha realizzato dei forni crematori per distruggere le prove delle esecuzioni “di massa” che sta portando avanti. La Stampa del 16 maggio dedica due intere pagine all’argomento con tanto di foto satellitari (ma c’è ancora qualcuno che crede a questo genere di foto?) ed un inserto in cui si fa risalire la capacità “crematoria” siriana ad un ex SS austriaco rifugiato in Siria e morto nel 2000… Il miglior commento alla notizia arriva il giorno dopo proprio da Assad stesso che la definisce “holliwoodiana” e da allora nessuno parla più di questa cosa, ma la denuncia servirà a giustificare moralmente le scelte (immorali) americane che verranno annunciate durante le visite di Trump.
Così sabato 20 maggio, mentre in Iran il popolo democraticamente sceglie di confermare alla presidenza del paese il moderato Rohani, contro le manovre dell’Ayatollah e dei conservatori, in Arabia Saudita Trump viene accolto con kilometri di tappeto rosso per annunciare il cambiamento della politica americana e l’ennesimo suo voltafaccia.
In campagna elettorale Trump accusava Hillary Clinton di essere finanziata dagli arabi, ma ora lui svende la politica Usa in Medio Oriente in cambio di forniture di armi e attrezzature petrolifere per 380 miliardi di dollari. In campagna elettorale (da La Stampa del 21 maggio) Trump aveva proposto “il totale e completo divieto di ingresso per i musulmani in Usa” e aveva detto alla Cnn “Io penso che l’Islam ci odi”. A Riad ha detto “Non siamo qui per dare lezioni ad altri popoli su come vivere, cosa fare, o chi essere. Invece siamo qui per offrire una partnership nella costruzione di un futuro migliore per tutti noi” ed anche “Questa non è una battaglia tra fedi, sette o civiltà differenti. E’ una battaglia tra coloro che vogliono distruggere la vita umana, e coloro che cercano di proteggerla. Questa è una battaglia tra il bene e il male.”
Quando si comincia a parlare di valori assoluti, come bene e male, in politica bisogna drizzare le antenne: ci ricordiamo ancora George W. Bush e il suo “asse del male” che è stato propedeutico alla seconda guerra in Iraq. E, infatti, Trump, dopo aver ricordato “gli indicibili crimini contro l’umanità” commessi da Assad (ecco l’aggancio!), ha invitato gli ascoltatori a fermare i suoi alleati a Tehran dicendo “Tutte le nazioni coscienziose del Medio Oriente devono lavorare insieme per rigettare l’influenza destabilizzante dell’Iran, restaurare un equilibrio dei poteri più stabile nella regione, e pregare per il giorno in cui il popolo iraniano avrà il governo giusto e responsabile che merita”.
Siamo alla fiera degli ossimori.
L’Iran, alleato del governo di Assad in Siria, avrebbe un’influenza destabilizzante nel paese? Ma se i ribelli sunniti del Sud sono sostenuti dagli americani, sauditi ed emiratini finanziano le altre bande e l’Isis, pure sunnita, è stato sostenuto dagli arabi e combattuto per finta dall’Alleanza finchè non è intervenuto Putin, che ha cominciato col bombardare le colonne di autobotti che portavano il petrolio dell’Isis in Turchia! Chi sta destabilizzando da sei anni la Siria?
E inoltre “the Donald” ha pure il coraggio di invitare “a pregare per il giorno in cui il popolo iraniano avrà un governo giusto e responsabile”, e non sta parlando agli Svizzeri, ma ai rappresentanti di uno dei paesi più oscurantisti, illiberali e non democratici, controllati dal fondamentalismo wahhabita!
Invece attacca l’etichetta del “male” all’Iran shiita, che ha confermato Rohani e che mantiene gli impegni assunti sul nucleare.
Ma gli attentati in Pakistan, in Siria, in Iraq, in Egitto, in Francia, Germania, Inghilterra sono tutti fatti da sunniti, contro gli occidentali e contro gli shiiti! Ma Trump va in casa sunnita, anzi wahhabita, a dire che il male è altrove e inaugura a Riad il “Centro per la Lotta contro il Radicalismo”. Se non è un ossimoro questo… è una presa per i fondelli internazionale.
Perché Berman non propone di portare il valori liberali in Arabia? Forse qualche ragione c’è: gli Stati Uniti sono in mano dell’Arabia Saudita più di quanto si creda. Obama aveva cercato di allentare i legami con un alleato fedele dal 1948 ma oggi impresentabile ed aveva approfittato dello sviluppo della produzione dello shale gas per liberarsi dalla dipendenza petrolifera araba. Ma i sauditi, terrorizzati dall’idea di essere lasciati soli in balia dei sommovimenti politici e delle pressioni shiite nell’area, hanno fatto una guerra feroce sul fronte del prezzo del petrolio, facendolo scendere da 100 a 40-50 $ al barile. Il bilancio dell’Arabia è andato in rosso per la prima volta nella storia, ma le aziende americane dello shale gas sono fallite o hanno chiuso.
Per cercare di mantenere la promessa di rivitalizzare l’economia americana e non essere strozzato dal potere arabo su di essa Trump, abbocca coscientemente all’esca dei 380 miliardi di $ a costo di dove fare (ma gli viene facile) una serie di voltafaccia, chiamati benevolmente ghiribizzi.