Nel 2015 sono state 764 le donne vittime di violenza in provincia
Dal 1999 il 25 novembre è la giornata internazionale per leliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza istituita dallassemblea generale delle Nazioni Unite per sensibilizzare lopinione pubblica sui temi della violenza e degli abusi sulle donne, degli omicidi perpetrati ai loro danni, dei maltrattamenti che subiscono ogni giorno moltissime donne nel mondo. La situazione in provincia
Dal 1999 il 25 novembre è la giornata internazionale per l?eliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza istituita dall?assemblea generale delle Nazioni Unite per sensibilizzare l?opinione pubblica sui temi della violenza e degli abusi sulle donne, degli omicidi perpetrati ai loro danni, dei maltrattamenti che subiscono ogni giorno moltissime donne nel mondo. La situazione in provincia
Venerdì 18 novembre in Alessandria si è svolto il convegno dal titolo “Violenza contro le donne. Le parole che servono”, un incontro per fare il punto della situazione su questi temi. Sarah Scaluzero, psicologa e counselor che presiede il centro antiviolenza alessandrino Me.dea, ha fornito alcuni dati sul fenomeno della violenza, con una doverosa premessa. “Il conflitto è cosa diversa dalla violenza. Nel primo caso c’è parità dei ruoli; nel secondo no e la responsabilità è a un solo senso. Nel caso di violenza, non si può parlare di forme malate di amore. L’amore non è violenza e la violenza non è amore – ha spiegato Sclauzero – L’incompletezza dei dati non permette di quantificarne la portata. L’indagine Istat 2015 riporta che una donna su tre, fra i 16 e i 70 anni, ha subìto violenza. Si tratta quindi di un fenomeno vicino alla nostra quotidianità. In tutta Europa, la violenza rappresenta la prima causa di morte e invalidità fra le donne dai 16 ai 44 anni”.
Focalizzandosi sulla provincia alessandrina, dal 2014 Medea è centro di raccolta dei dati provenienti dalla rete antiviolenza della provincia. “Nel 2015 sono stati 938 gli accessi registrati (11 per cento dei quali pluriaccessi) e 764 le donne vittime di violenza (delle quali 64,3 per cento italiane e 35,7 per cento straniere). Nel 66 per cento dei casi si tratta, poi, di accesso sanitario e nel 10 per cento da forze di polizia”, ha sottolineato Sclauzero.
Dal 2009 a oggi Medea ha accolto 920 donne, la maggior parte delle quali con un’età compresa fra i 35 e i 44 anni, che possiede un diploma o una laurea, che è occupata e coniugata e che chiede di raccontare la sua esperienza senza essere giudicata. Tutti dati che abbattono la prima falsa credenza, quella che tratteggia una donna vittima che è straniera e con un basso livello di istruzione.
Si crede che… ma la realtà è diversa
I numeri affondano uno a uno i falsi miti che da sempre affollano questa tematica. Si crede infatti che la violenza sessuale sia compiuta da estranei: in realtà il 70 per cento dei reati avviene tra le mura domestiche a opere del partner. Assolutamente falso che alle donne vittime piaccia subire violenza: “una donna si trova costretta nella relazione violenta e non ha possibilità di uscire. Il 34,5 per cento teme per la propria vita”, ha evidenziato la psicologa.
“Perché non lo lascia?” è allora la domanda che tutti si pongono di fronte a queste situazioni. “Una donna impiega in media sette anni prima di chiedere aiuto. I comportamenti sono spiegati dal ciclo della violenza”, ha concluso la presidente di Me.dea.
Attenzione alle parole
Degli obiettivi che si pone la legge di fronte ai casi di violenza, dei diversi scenari che si aprono in base alla scelta di sporgere querela o di ricorre allo strumento dell’ammonimento, del comportamento che deve tenere l’operatore di polizia, del concetto di violenza ha parlato Luigi Taglienti, maresciallo del Nucleo Investigativo Carabinieri, referente presso il comando provinciale per i casi di violenza. “Il cittadino che assiste alla violenza ha l’obbligo morale di segnalare il tutto alla forze di polizia”, ha affermato il maresciallo.
Giuseppe Romano, avvocato e consigliere dell’ordine degli avvocati di Alessandria, ha delineato gli strumenti legislativi a favore della vittima e illustrato il concetto di giustizia riparativa.
La giornata di studi era rivolta anche ai giornalisti ed Elena Rossi, addetta stampa di Me.dea, si è occupata di analizzare il linguaggio della violenza. “I fatti negli articoli non devono essere banalizzati e le storie non minimizzate”, ha detto la giornalista. Raptus, follia, eccesso di amore, emergenza sono parole che troppo spesso vengono accostate – nella cronaca e negli articoli di attualità – alla violenza contro le donne. Ma si tratta di termini sbagliati che prestano poca attenzione alla vittima e rischiano di creare e alimentare stereotipi e pregiudizi.