Prìncipi della chiesa?
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Prìncipi della chiesa?

I cardinali e la “rivoluzione” di papa Francesco. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, non ha mai abbandonato quel paese durante tutto il conflitto. Il sacerdote albanese Ernest Simoni è l’unico religioso ancora vivente della persecuzione del regime che proclamò l’Albania il “primo Stato ateo al mondo”

I cardinali e la ?rivoluzione? di papa Francesco. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, non ha mai abbandonato quel paese durante tutto il conflitto. Il sacerdote albanese Ernest Simoni è l?unico religioso ancora vivente della persecuzione del regime che proclamò l?Albania il ?primo Stato ateo al mondo?

OPINIONI – Siamo abituati a sentire parlare di cardinali soltanto in occasione di qualche piccolo o grande scandalo oppure in servizi televisivi che ne stigmatizzano le vere o presunte lussuosissime dimore. Papa Francesco, invece, con il suo stile da uomo “venuto dai confini del mondo” ci consente di rivedere – almeno un po’ – alcuni luoghi comuni costantemente perpetrati dall’opinione pubblica. Qualche giorno fa, infatti, ha annunciato la nomina di alcuni nuovi cardinali, scelti da tutto il mondo (un solo “curiale”, tutti gli altri vescovi di diocesi), secondo una personale “geopolitica” che non conosce più sedi privilegiate o carriere scontate ma piuttosto favorisce le “periferie” di questo mondo.

Nulla è più utile per comprendere questa nuova impostazione dello scorrere l’elenco dei prescelti, accorgendosi che su due nomi vale la pena di fermarsi a riflettere. Il primo è monsignor Mario Zenari, nunzio apostolico, cioè ambasciatore, che dal 2008 rappresenta la Santa Sede in Siria e non ha mai abbandonato quel paese durante tutto il conflitto (“Come potrebbe un rappresentante del papa essere credibile se scappasse da dove c’è più bisogno di lui?” dichiara spesso). Le denunce del prelato sono costanti e riguardano soprattutto le conseguenze della guerra: “Purtroppo, per quanto riguarda la protezione dei civili si è rivelata un fallimento in questi cinque anni e mezzo di guerra: se pensiamo che quotidianamente sono colpiti ospedali, scuole, mercati popolari, addirittura campi profughi, chiese, moschee; se pensiamo che la popolazione civile innocente è stata più volte nel corso degli ultimi tre anni vittima delle armi chimiche”.
Per questo, alla notizia della nomina a cardinale il diplomatico ha potuto affermare: “Questa porpora va alla Siria, alle vittime della Siria, a tutti coloro che soffrono per questo terribile conflitto. È per questa gente, per i tanti bambini che soffrono, per tanta povera gente che paga le conseguenze di questo terribile conflitto”.

L’altra figura che è interessante ricordare è quella del semplice sacerdote albanese Ernest Simoni, l’unico religioso ancora vivente della persecuzione del regime che proclamò l’Albania il “primo Stato ateo al mondo” e perseguitava cattolici e ortodossi insieme a musulmani. Don Ernest, nato nel 1928, ha trascorso nella sua vita ben 11.107 giorni (30 anni) tra prigionia e lavori forzati (muratore, minatore e poi addetto alle fogne).  A soli dieci anni entrò in un convitto dei francescani, per iniziare il percorso di formazione al sacerdozio. Nel 1948, nel pieno delle persecuzioni del regime comunista, anche il convento dei francescani venne devastato e trasformato in prigione; i frati vennero fucilati e i novizi dimessi. Ernest, all’età di vent’anni fu inviato dal regime a insegnare in uno sperduto villaggio sulle montagne, e là il suo servizio di maestro si trasformò anche in un’opera missionaria segreta. Poi, dopo due anni di servizio militare, concluse clandestinamente gli studi in teologia e nel 1956 fu ordinato prete.

Nelle diverse interviste che si sono susseguite dopo l’annuncio della sua nomina a cardinale, il prete ha rievocato le vicende della sua vita, così come aveva già fatto nel 2014 alla presenza del papa che, durante un viaggio in Albania, lo aveva conosciuto e si era profondamente commosso nel “sentire parlare un martire del proprio martirio”.

La sua prigionia, racconta, iniziò nel 1963 quando, “appena finito di celebrare la messa della vigilia di Natale, si presentarono quattro ufficiali con un ordine di arresto e fucilazione”. Per tre mesi rimase nella cella d’isolamento e la condanna a morte – come oppositore del regime – arrivò dopo un interrogatorio in cui lo torturarono e gli strinsero anelli di ferro ai polsi così forte che gli si fermò il cuore per alcuni istanti. Era pronto a morire ma la sentenza, inaspettatamente, fu commutata in detenzione e lavori forzati per venticinque anni.

Quel prete, nonostante tutto, non rinunciava a portare avanti clandestinamente la sua missione: “Celebravo la messa tutti i giorni, a memoria, in latino, sfruttando ciò che avevo a disposizione. L’ostia la cuocevo di nascosto su piccoli fornelli a petrolio che servivano per il lavoro. Se non potevo utilizzare il fornello, mettevo da parte un po’ di legna secca e accendevo il fuoco. Il vino lo sostituivo con il succo dei chicchi d’uva che spremevo”. Ai compagni di detenzione poi predicava che “Gesù ha insegnato ad amare i nemici e a perdonarli, e che noi dobbiamo impegnarci per il bene del popolo”. Per don Ernest la liberazione definitiva arrivò soltanto il 5 settembre 1990 con la caduta del regime.

Vale la pena così, per noi, soffermarci su vicende umane come queste, che il papa propone come modello per tutti i fedeli, per cogliere la portata “rivoluzionaria” (ma lo è poi davvero?) dei gesti simbolici e delle parole di questo pontefice.

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