Referendum trivelle, si vota sulla durata delle concessioni
Domenica 17 aprile circa 50 milioni di italiani saranno chiamati alle urne per il referendum sulle trivelle, come viene comunemente chiamato. La consultazione riguarda le piattaforme di estrazione degli idrocarburi poste in mare, ma come spesso accade con i referendum il quesito nasconde alcune insidie che è difficile semplificare con un sì o un no
Domenica 17 aprile circa 50 milioni di italiani saranno chiamati alle urne per il referendum ?sulle trivelle?, come viene comunemente chiamato. La consultazione riguarda le piattaforme di estrazione degli idrocarburi poste in mare, ma come spesso accade con i referendum il quesito nasconde alcune ?insidie? che è difficile semplificare con un sì o un no
Ma non si vota sulle trivelle
Prima insidia: il quesito referendario non riguarda “le trivelle”, ma la durata della concessione di estrazione. Il quesito referendario punta ad abrogare la norma, introdotta nel 2015, che consente di estendere una concessione «per la durata di vita utile del giacimento», cioè per un tempo indefinito. Se vince il Sì, questa norma sarà cancellata e si tornerà a quanto era previsto fino al 2015, quando le concessioni per lo sfruttamento di idrocarburi o di risorse minerarie, a prescindere che si trovassero a terra o in mare, avevano durata di trent’anni, con possibilità di proroghe per altri complessivi venti.
Se vince il Sì, le piattaforme oggi in attività continueranno a lavorare fino alla scadenza della concessione, ma non oltre. Se vince il No, le piattaforme potranno continuare a lavorare fino a quando tutto il gas del giacimento non sia stato estratto.
Un voto su poche decine di piattaforme
Seconda insidia: il limite delle acque territoriali. Il referendum del 17 aprile riguarda l’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia nautiche dalla costa. Le piattaforme che sono entro questo confine sono 88, per lo più nell’Adriatico (ma ce ne sono anche nel mar Ionio e nel mare di Sicilia), e alcune di esse hanno di fatto già cessato l’attività estrattiva.
Il referendum non riguarda le piattaforme di estrazione poste a più di 12 miglia nautiche dalla costa.
Uno spreco di risorse?
Secondo i sostenitori del No, sarebbe uno spreco di risorse abbandonare nei fondali petrolio e gas che potrebbe ancora essere estratto alla scadenza della concessione. È però vero che nessuna concessione pubblica nel nostro ordinamento viene data «per la durata di vita utile»: tutte hanno una data di scadenza più o meno lontana. Tra l’altro, si tratta di un privilegio accordato alle sole concessioni entro la fascia delle 12 miglia, non a quelle a terra o in mare aperto. È uno dei motivi che ha spinto la Corte Costituzionale a giudicare ammissibile il quesito.
Il costo dello smantellamento
La durata della concessione ha importanza non solo per la quantità di idrocarburi che si possono estrarre, ma anche per i costi di smantellamento delle piattaforme marine. Più la concessione è lunga, più è distante nel tempo il momento in cui le compagnie petrolifere dovranno smantellarle, spendendo parecchi soldi.
Il 4 per cento del fabbisogno energetico
Una terza insidia riguarda la quantità di idrocarburi che vengono estratti in mare. Che l’Italia non abbia molte risorse energetiche si sa. Ed è uno dei motivi per cui forse non dovrebbe rinunciare a quel poco petrolio e a quel poco gas che ha. Ma veniamo ai numeri.
Quattro quinti di tutto il gas che viene prodotto in Italia viene estratto dal mare, così come un quarto di tutto il petrolio “made in Italy”. In termini assoluti si tratta di numeri piccoli: la produzione annua delle piattaforme entro le 12 miglia è di circa 540 mila tonnellate di petrolio e 1,84 miliardi di metri cubi di gas. In percentuale però parliamo del 4 per cento del fabbisogno energetico nazionale. Poco per i Sì, molto per i No.
Posti di lavoro a rischio?
Quanti posti di lavoro si perderanno con la chiusura delle piattaforme? I numeri forniti dai sostenitori del Sì e del No sono molto differenti. Di certo c’è che la chiusura delle piattaforme non sarà immediata: le concessioni oggi attive scadranno tra il 2017 e il 2034.
Assomineraria, l’associazione delle industrie del settore, parla di 13 mila lavoratori; la Filctem-Cgil parla di circa 10 mila addetti. Secondo l’Isfol, l’ente pubblico di ricerca sul lavoro, gli addetti del settore estrattivo in Italia sono circa 9 mila. Capire quanti perderanno il lavoro in caso di vittoria del Sì è difficile: secondo gli ambientalisti, il settore delle energie rinnovabili potrebbe riassorbire tutti gli esuberi e anzi creare nuove opportunità occupazionali.
Royalty, dalle trivellazioni ne arrivano poche
Ogni compagnia petrolifera deve pagare una certa somma allo Stato per estrarre gli idrocarburi. Con un termine inglese, si parla di royalty. In Italia, l’importo delle royalty è pari al 7 per cento del valore del petrolio estratto in mare, al 10 per cento del valore del petrolio estratto a terra e al 10 per cento del gas (a prescindere che sia estratto a terra o in mare). Su ogni giacimento però c’è una franchigia: sono esenti da royalty le prime 50 mila tonnellate di petrolio e i primi 80 mila metri cubi di gas estratti offshore. Quindi le piccole piattaforme pagano somme molto basse allo Stato.
Nel 2015, comunque, il totale delle royalty pagate dalle compagnie è stato di 351 milioni di euro.
Quando si vota
Si vota domenica 17 aprile, dalle 7.00 alle 23.00, nei seggi normalmente allestiti per le consultazioni elettorali. Per votare è necessario presentarsi ai seggi con la tessera elettorale e un documento di identità valido. Il referendum sarà approvato se andrà a votare almeno il 50 per cento degli elettori. Se il quorum non fosse raggiunto, o se prevalessero i No, le attuali norme rimarranno invariate.