“Una volta nella vita”: un film da non perdere
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“Una volta nella vita”: un film da non perdere

Il film racconta di un’insegnante sensibile e combattiva che propone alla sua classe di partecipare al “Concorso scolastico nazionale sulla Resistenza e la deportazione degli ebrei sotto il nazismo”. Ancora più bella è la storia di come questo film è nato

Il film racconta di un?insegnante sensibile e combattiva che propone alla sua classe di partecipare al ?Concorso scolastico nazionale sulla Resistenza e la deportazione degli ebrei sotto il nazismo?. Ancora più bella è la storia di come questo film è nato

OPINIONI – È molto bella la storia raccontata nel film francese Una volta nella vita, uscito il 27 gennaio. La data non è stata scelta a caso, dal momento che il film racconta di un’insegnante sensibile e combattiva che propone alla sua classe di partecipare al “Concorso scolastico nazionale sulla Resistenza e la deportazione degli ebrei sotto il nazismo”. Si tratta di una gara importante, di solito riservata a istituti prestigiosi, ma l’insegnante è sicura che quella classe di una scuola di periferia, in cui convivono ragazzi di tutti i colori e di tutte le culture, apparentemente svogliati e chiassosi, ha delle potenzialità, e i suoi alunni, considerati dai colleghi poco meno di una banda di delinquenti minorili, nascondono invece grande sensibilità e voglia di riscatto. Dapprima diffidenti, quei ragazzi litigiosi e difficili si appassionano alla storia, lavorano sodo, esprimono idee, curiosità, desiderio di imparare, creatività. Si inventano audiovisivi, fumetti, collage fotografici. Raccolgono le storie dei ragazzi che avevano la loro età quando sono stati travolti dalla tragedia della Shoà, e le intrecciano in un racconto commovente e intenso.

Ma soprattutto cominciano a conoscersi, a stimarsi, a collaborare. Lavorando insieme diventano un gruppo, dove le differenze di religione e di cultura finiscono in secondo piano. Vincono il concorso. E la scena finale li vede abbracciarsi e brindare insieme alla loro prof all’ombra della torre Eiffel.

Questa la vicenda raccontata nel film. Ma ancora più bella è la storia di come questo film è nato: Ahmed Dramé, ragazzo musulmano figlio di una immigrata del Mali e di una banlieue tra le più difficili, a sedici anni ha partecipato, con la sua classe, al Concorso scolastico nazionale di cui parla il film. Di questa vicenda Dramé fa una sceneggiatura e la invia alla regista Marie-Castille Mention-Schaar. Questa si innamora della proposta e realizza il film, a cui Ahmed partecipa come attore interpretando il personaggio di Malik. Il film è stato un caso in Francia e sta avendo molto successo anche da noi.

“A grandi linee conoscevamo questo capitolo tragico della Storia – racconta Ahmed – ma l’esperienza più toccante è stata ascoltare la testimonianza dei veri sopravvissuti. La parola raccontata di persona ha sconvolto tutti noi. Léon Ziguel, ottant’anni, ci ha raccontato la sua esperienza, all’epoca era un ragazzo della nostra età, aveva gli stessi sentimenti che abbiamo noi giovani francesi di oggi, ma lui li ha vissuti nella tragedia. Quella scena è stata girata solo una volta, le reazioni che voi vedete sono davvero quelle che abbiamo vissuto”.

“Non sono passati così tanti anni – continua – e se vogliamo costruire un futuro migliore non possiamo non conoscere la storia. Quella tragedia non riguarda solo la negazione di un popolo che è il popolo ebreo, quello stesso popolo tradotto oggi è l’intera umanità. Abbiamo il dovere di conoscere a fondo questo capitolo, di comprenderlo. Oggi cerchiamo tutti di vedere gli errori degli altri addossando loro le responsabilità di quanto accade, invece è importante un’assunzione di responsabilità da parte di ciascuno di noi. Io vengo dalla periferia che, come tutte le periferie, è un universo multiculturale. Nel mio condominio c’erano ventisette nazionalità diverse con delle classi sociali dalle più benestanti alle più sfavorite. L’insegnamento maggiore che ho avuto a scuola e in particolare in questa seconda classe con cui abbiamo partecipato al concorso è stata la convivenza. È quello il messaggio importante, ancora oggi. È fondamentale imparare a vivere insieme, perché insieme si raggiungono obiettivi più grandi che non da soli. Allora, quando ci è stato chiesto di partecipare al Concorso, il problema della mia classe era la mancanza totale di solidarietà, l’incapacità di ascoltare l’altro, la sottolineatura costante delle differenze, il fatto che alcuni si sentissero migliori perché più agiati o fortunati. Lavorando insieme abbiamo imparato la cosa più importante, che i migliori risultati si ottengono solo con l’aiuto reciproco e la collaborazione”.

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